Ritratti di Grandi Alpinisti: Alex Huber
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Ritratti di Grandi Alpinisti: Alex Huber
"La natura offre il terreno, le regole, non esistono morfologia, vantaggi o svantaggi. L’arrampicata è uno sport naturale, è nato in natura e il suo ambiente è quello. Come la Maratona non è nata in pista, e tutti sanno lo stesso chi sono i migliori, così anche nell’arrampicata si accettano le condizioni del momento”.
Una galleria di ritratti di grandi di sempre non può prescindere dal inserimento di Alex Huber, il fuoriclasse tedesco che ha voluto cimentarsi, dalla fine degli anni ’80 in poi, su tutte le sfaccettature del diamante verticale.
Un personaggio molto mediatizzato, non sempre tenero nei giudizi sugli altri e profondo conoscitore della storia dell'alpinismo. Un fuoriclasse che ha comunque voluto dare un senso a tutte le sue performances.
Pensiamo alla solitaria senza corda sulla Hasse-Brandle; non possiamo dire se sia stata la più grande solitaria di tutti i tempi, almeno su calcare, ma certo la scelta non è stata casuale. Una via di roccia insicura, prima di tutto, dove salire presuppone un controllo ben superiore a quello che richiederebbe una pari difficoltà in ambienti altrettanto esposti ma su roccia eccellente ( pensiamo al Verdon ).
Una via che all’epoca suscitò scalpore anche per l’uso eccessivo dei chiodi a pressioni, e scalandola senza corda Huber ha dato un chiaro segnale di passaggio di consegne, di evoluzione, di scambio generazionale.
Una via, infine, scelta su un gruppo montuoso su cui la storia dell’alpinismo ha scritto pagine fondamentali, e dove quindi un’impresa di free solo avrebbe sicuramente colpito più generazioni.
Ai vertici in più discipline, dall’arrampicata sportiva alle salite su ghiaccio in Scozia, dalle libere estreme in Yosemite ( dove prima divenne famoso per la prima salita in libera interamente da capocordata della Salathè e poi per la libera di vie come El Nino, Golden gate e Free rider, che difatti sono delle pietre miliari della storia del free climbing) al free solo in falesia ( fino all'8b+!!) e in parete, Huber ha sempre posto l’accento anche sul carattere sportivo dell’alpinismo e dell’arrampicata, sottolineando come, per esempio, la definizione “morfologica” sia puramente una giustificazione in arrampicata, o come la diatriba chiodo-spit sia un falso problema dell’alpinismo.
Contrariamente a quanto da più parti affermato, non è poi vero che Huber ha sempre scelto obiettivi di assodato successo: il Cerro Torre per la via Egger-Maestri e l’Ogre poi conquistato dal fratello sono alcune delle sue più clamorose ritirate, così come la via di arrampicata sportiva Om lo vide tentare per quasi sei mesi prima dell’agognata libera.
Conscio dei suoi limiti nell’alpinismo misto d’alta quota, e dell’avanzare dei nuovi fenomeni in arrampicata (uno dei quali, Ondra, ha sentenziato che proprio la sua OM è il primo 9a+ di tutti i tempi, Alex la diede 9a), Huber riesce comunque ad essere sempre nelle prime notizie dell’anno in virtù di una scelta degli obiettivi molto oculata e mirata. Scelta accusata da chi lo vede soltanto come attento agli sponsor e all’immagine, ma questa è soltanto il retro-copertina di un libro che nessuno, negli ultimi 20 anni, ha saputo eguagliare in poliedricità e contenuti. Solo negli ultimi tre anni, le sue nuove vie in Antartide e la libera della storica Ethernal Flame a Trango insieme al fratello Thomas hanno ancora una volta dimostrato che Alex è un vero Re.
Trittiko- Messaggi : 28
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Ritratti di Grandi Alpinisti: Alex Huber :: Commenti
Re: Ritratti di Grandi Alpinisti: Alex Huber
Mi ricordo la sua serata a "montagne in città", rimpianta manifestazione che si svolgeva a Roma fino a qualche anno fa. Fra le persone che ho conosciuto è una di quelle che mi hanno più impressionato per la sua figura.
E' difficile spiegare di che si tratti. C'è chi lo chiama carisma. Non lo so.
Non è molto alto. E' muscoloso. Da una sensazione di stabilità, di forza e calma interiore.
E' qualcosa che traspare dai gesti, dal modo di guardare, dalle movenze.
Raramente, in tutti i campi, non parlo solo di alpinismo, mi è capitato di percepire questa aura.
Forse era in un momento perfetto della sua esistenza non so.
Per nessuno di noi se mai arriva quel momento, dura a lungo.
Però quel giorno mi ha dato questa sensazione.
E' difficile spiegare di che si tratti. C'è chi lo chiama carisma. Non lo so.
Non è molto alto. E' muscoloso. Da una sensazione di stabilità, di forza e calma interiore.
E' qualcosa che traspare dai gesti, dal modo di guardare, dalle movenze.
Raramente, in tutti i campi, non parlo solo di alpinismo, mi è capitato di percepire questa aura.
Forse era in un momento perfetto della sua esistenza non so.
Per nessuno di noi se mai arriva quel momento, dura a lungo.
Però quel giorno mi ha dato questa sensazione.
Da una sensazione di stabilità, di forza e calma interiore.
E' qualcosa che traspare dai gesti, dal modo di guardare, dalle movenze.
Credo che persone come Huber abbiano vissuto esperienze di tale grandezza ed intensità che poi, una volta a terra, in mezzo alle persone "normali", vivano comunque in maniera differente da "noi".
Non credo che questo basti.
Non è la grandezza oggettiva delle esperienze vissute a far di una persona un essere speciale. Perlomeno, in alcuni momenti della sua vita, speciale.
Ci sono tante persone che fanno o hanno fatto cose eccezionali, ma non per questo sono persone migliori o irradiano quella che a me è parso come un flusso di serena consapevolezza.
Anzi, spesso l'eccellere in qualche campo dell'esistenza comporta spaventose manchevolezze in altri lati. E questo, anche senza conoscere a fondo la persona, si percepisce.
Appare il vuoto dietro.
Si potrebbe dire che la persona suoni male, come una roccia quando la batti con la mano per saggiarne la consistenza e l'affidabilità.
E non basta nemmeno aver fatto cose ai limiti. L'aver vissuto molto vicino il proprio limite, o essersi affacciato oltre, aiuta a guardarsi dentro e a costruirsi. Ma è un processo lungo. E conta comunque la motivazione, la spinta che ti porta verso il limite.
Se proviene da fuori, dalla necessità di apparire più che di essere, non aggiunge nulla alla tua essenza.
Non è la grandezza oggettiva delle esperienze vissute a far di una persona un essere speciale. Perlomeno, in alcuni momenti della sua vita, speciale.
Ci sono tante persone che fanno o hanno fatto cose eccezionali, ma non per questo sono persone migliori o irradiano quella che a me è parso come un flusso di serena consapevolezza.
Anzi, spesso l'eccellere in qualche campo dell'esistenza comporta spaventose manchevolezze in altri lati. E questo, anche senza conoscere a fondo la persona, si percepisce.
Appare il vuoto dietro.
Si potrebbe dire che la persona suoni male, come una roccia quando la batti con la mano per saggiarne la consistenza e l'affidabilità.
E non basta nemmeno aver fatto cose ai limiti. L'aver vissuto molto vicino il proprio limite, o essersi affacciato oltre, aiuta a guardarsi dentro e a costruirsi. Ma è un processo lungo. E conta comunque la motivazione, la spinta che ti porta verso il limite.
Se proviene da fuori, dalla necessità di apparire più che di essere, non aggiunge nulla alla tua essenza.
Non so se avete visto quel video di Alex in yosemite, ne esce fuori una persona davvero rilassata e a suo agio in tutte le situazioni, sia di arrampicata che di divertimento tra amici.
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