Ritratti di Grandi Alpinisti: Catherine Destivelle
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Ritratti di Grandi Alpinisti: Catherine Destivelle
Frattura esposta, non c’erano dubbi! Al culmine dell’esperienza, quella piccola perdita di equilibrio l’aveva fatta carambolare per un bel pezzo, giù da quel picco senza nome e senza storia, mai scalato prima. Dai 4160 metri della vetta si era trovata qualche centinaio di metri più in basso, appesa all’imbrago con la tuta lacera e quell’osso che sporgeva; com’era accaduto?
Accade perché la montagna è così, colpisce duro anche quando credi che ti puoi rilassare un po’. Ed essere lì, con quei 1600 metri di vuoto da colmare, in Antartide, non doveva essere una bella sensazione, e le quasi trenta ore per ridiscendere a Patriot Hill, nel cuore e nell’anima saranno durate anche molto di più.
Catherine Destivelle, quasi superfluo dirlo, in montagna poi ci è tornata alla grande. Sopravvissuta a questo e ad altri spaventosi incidenti, non ha mai abbandonato il suo richiamo interiore per le alte quote; una passione partorita migliaia di metri più in basso, tra i massi di Fontainebleau.
Qui, bambina, ha mosso i primi passi verticali, spinta dai genitori prima e da un’indole un po’ ribelle poi. Grazie al CAF (Club Alpin Francais) e alle prime uscite nelle gole d’Apremont, a Saffre, nel Valgaudemar, si avvicina a quel mondo che già sentiva dentro, stupendo istruttori e facendo imbufalire gli “anziani”, quelli che avrebbero dovuto fare da guida ai più giovani. Ma il talento, quello puro, quello che contraddistingue coloro che chiamiamo “geni”, non ha età, sesso, epoca.
Catherine saliva e insegnava, agli altri, come si sale un blocco, come si fa una via sportiva, come si va in montagna. Gli altri dietro, a osservare, imparare, invidiare, al Pic du Lup ed esempio o sull’Aiguille, ad Archiane, a Glandasse.
E poi venne il Verdon, con quelle vie mai concatenate in giornata e dove, anzi, a fatica si usciva prima del buio anche da una sola. Ma Catherine era veloce, dannatamene veloce, e dannatamente leggera, precisa, potente nello scalare. Ed era la seconda metà degli anni ’70 ancora, e allora era anche dannatamente in anticipo sui tempi.
Nel luglio del 1977 scala la nord dell’Olan per la via Couzy-Desmaison, al nord dell’Ailefroide per la Devies-Gervasutti ed i Dru per la Diretta Americana, tutte in meno di 7 ore.
Negli anni ’80, con le prime gare d’arrampicata, diventa la donna da battere ma anche il modello a cui ispirarsi, gli sponsor ed i produttori televisivi lo sanno, tanto che diventa anche una tra le prime a diventare una professionista della scalata e ad essere pagata per farlo.
La pressione delle gare tuttavia è troppo alta, le sue regole troppo strette, l’ambiente troppo logorante. Meglio, molto meglio, la libertà dei grandi spazi e l’emozione della difficoltà, in falesia come in montagna.
Nel 1988 scala Chouca, a Buoux, primo 8a femminile della storia (questi dannati falesisti non la finiranno mai di dar fastidio in montagna come sassi nello scarpone!) e subito dopo si spalancano le porte ai suoi assoluti capolavori, opere d’arte dipinte sulla tela infinita della storia dell’alpinismo.
Prima solitaria del Pilastro Bonatti ai Drus (1990) dove torna l’anno successivo per aprire una via nuova, sempre in solitaria.
Prime solitarie invernali (tra il 1992 ed il 1994) delle tre grandi Nord: Eiger per la Heckmair, Grandes Jorasses per la Walker e Cervino per la Bonatti. Salite complesse, pericolose, in particolare sui 1800 metri di sfoglia dell’Orco, eseguite con precarie tecniche di artificiale imparate durante il suo tirocinio in Utah. Per dare un’idea, si parla di salite dove spesso ti appendi ad un cliff e vedi saltare via le altre protezioni sotto, fino alla sosta. Metti un friend in una lama staccata e questo l’allarga, facendo saltare i chiodi sotto. Salite da sangue freddo in ogni circostanza.
Senza dimenticare tuttavia anche la seconda salita in libera (ancora questi falesisti bastardi!) della Via degli Sloveni sulla Nameless Tower, Torri di Trango, dopo la prima di Wolfgang Gullich e le spedizioni sul Latok I, Annapurna, Makalu.
La nascita del figlio Victor nel 1997 è la sua conquista più bella, che la porta in parte lontano dalle montagne ma le lascia comunque la voglia di misurarsi ancora con le grandi pareti e le grandi solitarie, salendo, ancora per una prima femminile, la Hasse-Brandler alla Cima Grande di Lavaredo nel 1999.
Partendo dalla foresta e dai massi di Fontainebleau, la Destivelle ha conquistato Alpi e cuori, sempre per prima, ed in questa piccola collezione di Ritratti di Stile Alpino spetta senza dubbio un posto d’onore.
Accade perché la montagna è così, colpisce duro anche quando credi che ti puoi rilassare un po’. Ed essere lì, con quei 1600 metri di vuoto da colmare, in Antartide, non doveva essere una bella sensazione, e le quasi trenta ore per ridiscendere a Patriot Hill, nel cuore e nell’anima saranno durate anche molto di più.
Catherine Destivelle, quasi superfluo dirlo, in montagna poi ci è tornata alla grande. Sopravvissuta a questo e ad altri spaventosi incidenti, non ha mai abbandonato il suo richiamo interiore per le alte quote; una passione partorita migliaia di metri più in basso, tra i massi di Fontainebleau.
Qui, bambina, ha mosso i primi passi verticali, spinta dai genitori prima e da un’indole un po’ ribelle poi. Grazie al CAF (Club Alpin Francais) e alle prime uscite nelle gole d’Apremont, a Saffre, nel Valgaudemar, si avvicina a quel mondo che già sentiva dentro, stupendo istruttori e facendo imbufalire gli “anziani”, quelli che avrebbero dovuto fare da guida ai più giovani. Ma il talento, quello puro, quello che contraddistingue coloro che chiamiamo “geni”, non ha età, sesso, epoca.
Catherine saliva e insegnava, agli altri, come si sale un blocco, come si fa una via sportiva, come si va in montagna. Gli altri dietro, a osservare, imparare, invidiare, al Pic du Lup ed esempio o sull’Aiguille, ad Archiane, a Glandasse.
E poi venne il Verdon, con quelle vie mai concatenate in giornata e dove, anzi, a fatica si usciva prima del buio anche da una sola. Ma Catherine era veloce, dannatamene veloce, e dannatamente leggera, precisa, potente nello scalare. Ed era la seconda metà degli anni ’70 ancora, e allora era anche dannatamente in anticipo sui tempi.
Nel luglio del 1977 scala la nord dell’Olan per la via Couzy-Desmaison, al nord dell’Ailefroide per la Devies-Gervasutti ed i Dru per la Diretta Americana, tutte in meno di 7 ore.
Negli anni ’80, con le prime gare d’arrampicata, diventa la donna da battere ma anche il modello a cui ispirarsi, gli sponsor ed i produttori televisivi lo sanno, tanto che diventa anche una tra le prime a diventare una professionista della scalata e ad essere pagata per farlo.
La pressione delle gare tuttavia è troppo alta, le sue regole troppo strette, l’ambiente troppo logorante. Meglio, molto meglio, la libertà dei grandi spazi e l’emozione della difficoltà, in falesia come in montagna.
Nel 1988 scala Chouca, a Buoux, primo 8a femminile della storia (questi dannati falesisti non la finiranno mai di dar fastidio in montagna come sassi nello scarpone!) e subito dopo si spalancano le porte ai suoi assoluti capolavori, opere d’arte dipinte sulla tela infinita della storia dell’alpinismo.
Prima solitaria del Pilastro Bonatti ai Drus (1990) dove torna l’anno successivo per aprire una via nuova, sempre in solitaria.
Prime solitarie invernali (tra il 1992 ed il 1994) delle tre grandi Nord: Eiger per la Heckmair, Grandes Jorasses per la Walker e Cervino per la Bonatti. Salite complesse, pericolose, in particolare sui 1800 metri di sfoglia dell’Orco, eseguite con precarie tecniche di artificiale imparate durante il suo tirocinio in Utah. Per dare un’idea, si parla di salite dove spesso ti appendi ad un cliff e vedi saltare via le altre protezioni sotto, fino alla sosta. Metti un friend in una lama staccata e questo l’allarga, facendo saltare i chiodi sotto. Salite da sangue freddo in ogni circostanza.
Senza dimenticare tuttavia anche la seconda salita in libera (ancora questi falesisti bastardi!) della Via degli Sloveni sulla Nameless Tower, Torri di Trango, dopo la prima di Wolfgang Gullich e le spedizioni sul Latok I, Annapurna, Makalu.
La nascita del figlio Victor nel 1997 è la sua conquista più bella, che la porta in parte lontano dalle montagne ma le lascia comunque la voglia di misurarsi ancora con le grandi pareti e le grandi solitarie, salendo, ancora per una prima femminile, la Hasse-Brandler alla Cima Grande di Lavaredo nel 1999.
Partendo dalla foresta e dai massi di Fontainebleau, la Destivelle ha conquistato Alpi e cuori, sempre per prima, ed in questa piccola collezione di Ritratti di Stile Alpino spetta senza dubbio un posto d’onore.
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