Le montagne di Primo Levi
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Le montagne di Primo Levi
1987 Marzo. Escono le edizioni francese e tedesca del Sistema periodico. Levi subisce un’operazione chirurgica. 11 aprile. Muore nella sua casa di Torino.
Così la casa editrice Einaudi riassume la morte dello scrittore e chimico torinese Primo Levi avvenuta esattamente venticinque anni fa.
E’ probabile che non mi sia sufficiente tutta la notte per provare anche solo a descrivere l’immenso debito che mi sento di portare di fronte all’opera e alla testimonianza di questa grandissima figura. Che cosa ne sarebbe adesso del ricordo di una delle più atroci pagine della nostra storia più recente? Conosceremmo ora l’orrore di Auschwitz così come l’abbiamo anche solo lontanamente immaginato attraverso le pagine di Se questo è un uomo?
Eppure Primo Levi per me vuol dire anche molto altro, e sono immagini di libertà e gioventù infatti quelle che liberamente associo allo scrittore di Torino. E tutte hanno come denominatore comune la montagna. Un rapporto lungo ed intenso quello che unisce Primo Levi alle montagne che si elevano attorno alla città della Mole.
Il Piemonte era la nostra patria vera, quella in cui ci riconoscevamo; le montagne attorno a Torino, visibili nei giorni chiari, e a portata di bicicletta, erano nostre, non sostituibili, e ci avevano insegnato la fatica, la sopportazione, ed una certa saggezza.
Un rapporto che assume anche un significato simbolico se si pensa che nell’appendice di Se questo è un uomo all’edizione del 1976 Levi cita "l'allenamento alla vita di montagna" come uno tra i fattori che gli hanno permesso di ritornare da Auschwitz.
E infatti Levi si rifugia in montagna dopo l’otto settembre del ’43, dove si unisce ad una banda partigiana che opera tra Saint-Vincent e Brusson in Val d’Aosta e qui, all’alba del 13 dicembre dello stesso anno, viene catturato dalla Milizia Fascista.
Non mi era stato facile scegliere la via della montagna, e contribuire a mettere in piedi quanto, nella opinione mia e di altri amici di me poco più esperti avrebbe dovuto diventare una banda partigiana affiliata a “Giustizia e Libertà”.
E più avanti, nel surreale tentativo del giovane Levi di tradurre il “Canto di Ulisse” a Jean, il “Pikolo” del Kommando in cui lavora, la montagna bruna di dantesca memoria è la breccia nell’inferno di Auschwitz per ritornare un momento alle montagne di casa.
...le montagne, quando si vedono di lontano… le montagne… oh Pikolo, Pikolo dì qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!
Nel Sistema Periodico, un libro che per me è poco meno che un capolavoro, i rimandi alla montagna sono ancora più d’uno, e tra i vari racconti, che prendono tutti come titolo il nome di un elemento, c’è n’è uno dedicato proprio alla montagna: Ferro.
E’ la storia di una grande amicizia tra l’autore e il compagno di studi Sandro, che si cementa tra le rocce e le nevi delle Alpi Piemontesi, sullo sfondo di un paese che tra la promulgazione delle “leggi razziali” si avvia inevitabilmente verso il baratro della guerra.
Eppure in queste poche righe non c’è spazio per la tristezza e la rassegnazione.
“Vedere Sandro in montagna riconciliava col mondo, e faceva dimenticare l’incubo che gravava sull’Europa. Era il suo luogo, quello per cui era fatto, come le marmotte di cui imitava il fischio e il grifo: in montagna diventava felice, di una felicità silenziosa e contagiosa, come una luce che si accenda. Suscitava in me una comunione nuova con la terra e il cielo, in cui confluivano il mio bisogno di libertà, la pienezza delle forze, e la fame di capire le cose che mi avevano spinto alla chimica. Uscivamo all’aurora, strofinandoci gli occhi, dalla portina del bivacco Martinotti, ed ecco tutto intorno, appena toccate dal sole, le montagne candide e brune, nuove come create nella notte appena svanita, e insieme innumerabilmente antiche. Erano un’isola, un altrove".
Io non so nemmeno se il bivacco Martinotti esiste ancora, e di quale gruppo montuoso stiamo parlando, ma mi piacerebbe provare ad andare a cercare quell'"altrove" di cui scrive Levi. E ancora, nel racconto sono poi citati anche i Picchi del Pagliaio con il Torrione Wolkmann, i Denti di Cumiana, Roca Patanüa, il Plô. Ma soprattutto lo Sbarüa.
Lo Sbarüa è un prisma di granito che sporge di un centinaio di metri da una modesta collina irta di rovi e di bosco ceduo: come il Veglio di Creta, è spaccato dalla base alla cima da una fenditura che si fa salendo via via più stretta, fino a costringere lo scalatore ad uscire in parete, dove, appunto, si spaura, e dove esisteva allora un singolo chiodo, lasciato caritatevolmente dal fratello di Sandro.
E c'è magari qualcuno che è anche in grado di identificarmi il Dente di M. di cui parla Primo Levi sempre nello stesso racconto, teatro di una bellissima avventura:
"Dôma, neh?” mi disse un giorno, a febbraio: nel suo linguaggio, voleva dire che, essendo buono il tempo, avremmo potuto partire alla sera per l’ascensione invernale del Dente di M., che da qualche settimana era in programma. "
Chi mi aiuta allora a dare un'immagine e una storia a questi luoghi che per me hanno un fascino così intenso pur non avendoli mai visitati. Lo Sbarüa tra tutti, considerando che per di lì tra i tanti è passato più avanti anche un certo Guido Rossa.
Ma tornammo a valle coi nostri mezzi, e al locandiere, che ci chiedeva ridacchiando come ce la eravamo passata, e intanto sogguardava i nostri visi stralunati, rispondemmo sfrontatamente che avevamo fatto un’ottima gita, pagammo il conto e ce ne andammo con dignità. Era questa, la carne dell’orso: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino. Perciò sono grato a Sandro per avermi messo coscientemente nei guai, in quella ed in altre imprese insensate solo in apparenza, e so con certezza che queste mi hanno servito più tardi.
(Il Sandro del racconto è Sandro Delmastro, primo caduto del Comando militare piemontese del Partito d'Azione, medaglia d'argento alla memoria).
Così la casa editrice Einaudi riassume la morte dello scrittore e chimico torinese Primo Levi avvenuta esattamente venticinque anni fa.
E’ probabile che non mi sia sufficiente tutta la notte per provare anche solo a descrivere l’immenso debito che mi sento di portare di fronte all’opera e alla testimonianza di questa grandissima figura. Che cosa ne sarebbe adesso del ricordo di una delle più atroci pagine della nostra storia più recente? Conosceremmo ora l’orrore di Auschwitz così come l’abbiamo anche solo lontanamente immaginato attraverso le pagine di Se questo è un uomo?
Eppure Primo Levi per me vuol dire anche molto altro, e sono immagini di libertà e gioventù infatti quelle che liberamente associo allo scrittore di Torino. E tutte hanno come denominatore comune la montagna. Un rapporto lungo ed intenso quello che unisce Primo Levi alle montagne che si elevano attorno alla città della Mole.
Il Piemonte era la nostra patria vera, quella in cui ci riconoscevamo; le montagne attorno a Torino, visibili nei giorni chiari, e a portata di bicicletta, erano nostre, non sostituibili, e ci avevano insegnato la fatica, la sopportazione, ed una certa saggezza.
Un rapporto che assume anche un significato simbolico se si pensa che nell’appendice di Se questo è un uomo all’edizione del 1976 Levi cita "l'allenamento alla vita di montagna" come uno tra i fattori che gli hanno permesso di ritornare da Auschwitz.
E infatti Levi si rifugia in montagna dopo l’otto settembre del ’43, dove si unisce ad una banda partigiana che opera tra Saint-Vincent e Brusson in Val d’Aosta e qui, all’alba del 13 dicembre dello stesso anno, viene catturato dalla Milizia Fascista.
Non mi era stato facile scegliere la via della montagna, e contribuire a mettere in piedi quanto, nella opinione mia e di altri amici di me poco più esperti avrebbe dovuto diventare una banda partigiana affiliata a “Giustizia e Libertà”.
E più avanti, nel surreale tentativo del giovane Levi di tradurre il “Canto di Ulisse” a Jean, il “Pikolo” del Kommando in cui lavora, la montagna bruna di dantesca memoria è la breccia nell’inferno di Auschwitz per ritornare un momento alle montagne di casa.
...le montagne, quando si vedono di lontano… le montagne… oh Pikolo, Pikolo dì qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!
Nel Sistema Periodico, un libro che per me è poco meno che un capolavoro, i rimandi alla montagna sono ancora più d’uno, e tra i vari racconti, che prendono tutti come titolo il nome di un elemento, c’è n’è uno dedicato proprio alla montagna: Ferro.
E’ la storia di una grande amicizia tra l’autore e il compagno di studi Sandro, che si cementa tra le rocce e le nevi delle Alpi Piemontesi, sullo sfondo di un paese che tra la promulgazione delle “leggi razziali” si avvia inevitabilmente verso il baratro della guerra.
Eppure in queste poche righe non c’è spazio per la tristezza e la rassegnazione.
“Vedere Sandro in montagna riconciliava col mondo, e faceva dimenticare l’incubo che gravava sull’Europa. Era il suo luogo, quello per cui era fatto, come le marmotte di cui imitava il fischio e il grifo: in montagna diventava felice, di una felicità silenziosa e contagiosa, come una luce che si accenda. Suscitava in me una comunione nuova con la terra e il cielo, in cui confluivano il mio bisogno di libertà, la pienezza delle forze, e la fame di capire le cose che mi avevano spinto alla chimica. Uscivamo all’aurora, strofinandoci gli occhi, dalla portina del bivacco Martinotti, ed ecco tutto intorno, appena toccate dal sole, le montagne candide e brune, nuove come create nella notte appena svanita, e insieme innumerabilmente antiche. Erano un’isola, un altrove".
Io non so nemmeno se il bivacco Martinotti esiste ancora, e di quale gruppo montuoso stiamo parlando, ma mi piacerebbe provare ad andare a cercare quell'"altrove" di cui scrive Levi. E ancora, nel racconto sono poi citati anche i Picchi del Pagliaio con il Torrione Wolkmann, i Denti di Cumiana, Roca Patanüa, il Plô. Ma soprattutto lo Sbarüa.
Lo Sbarüa è un prisma di granito che sporge di un centinaio di metri da una modesta collina irta di rovi e di bosco ceduo: come il Veglio di Creta, è spaccato dalla base alla cima da una fenditura che si fa salendo via via più stretta, fino a costringere lo scalatore ad uscire in parete, dove, appunto, si spaura, e dove esisteva allora un singolo chiodo, lasciato caritatevolmente dal fratello di Sandro.
E c'è magari qualcuno che è anche in grado di identificarmi il Dente di M. di cui parla Primo Levi sempre nello stesso racconto, teatro di una bellissima avventura:
"Dôma, neh?” mi disse un giorno, a febbraio: nel suo linguaggio, voleva dire che, essendo buono il tempo, avremmo potuto partire alla sera per l’ascensione invernale del Dente di M., che da qualche settimana era in programma. "
Chi mi aiuta allora a dare un'immagine e una storia a questi luoghi che per me hanno un fascino così intenso pur non avendoli mai visitati. Lo Sbarüa tra tutti, considerando che per di lì tra i tanti è passato più avanti anche un certo Guido Rossa.
Ma tornammo a valle coi nostri mezzi, e al locandiere, che ci chiedeva ridacchiando come ce la eravamo passata, e intanto sogguardava i nostri visi stralunati, rispondemmo sfrontatamente che avevamo fatto un’ottima gita, pagammo il conto e ce ne andammo con dignità. Era questa, la carne dell’orso: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino. Perciò sono grato a Sandro per avermi messo coscientemente nei guai, in quella ed in altre imprese insensate solo in apparenza, e so con certezza che queste mi hanno servito più tardi.
(Il Sandro del racconto è Sandro Delmastro, primo caduto del Comando militare piemontese del Partito d'Azione, medaglia d'argento alla memoria).
Ultima modifica di alessandro il Gio Apr 12, 2012 1:24 pm - modificato 1 volta.
Ospite- Ospite
Re: Le montagne di Primo Levi
Spero arrivino tante risposte con foto dagli amici torinesi; hai avuto una bella idea.
Re: Le montagne di Primo Levi
Non conoscevo questo suo amore per la montagna, in realtà oltre a sapere che fosse un chimico e quindi scrittore non ho mai approfondito nulla di Levi. Il suo nome e la sua storia sono sempre stati "incatenati" alla sua tragica esperienza, nella mia testa perlomeno..
Non so neppure perchè si suicidò nè se fu vero che si lanciò dalle scale del suo condominio dopo aver letto una lettera appena ricevuta...in realtà non so un sacco di cose..
si, veramente una bella idea...speriam in qualche risposta
Non so neppure perchè si suicidò nè se fu vero che si lanciò dalle scale del suo condominio dopo aver letto una lettera appena ricevuta...in realtà non so un sacco di cose..
si, veramente una bella idea...speriam in qualche risposta
yo- Messaggi : 662
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Re: Le montagne di Primo Levi
Per il Dente di M. magari chiedi al buon flash (su FV?) . . .
Del resto, giusta la tua osservazione sul rapporto di Levi con la montagna (e condivido il tuo giudizio sul Sistema Periodico). Credo che molti della borghesia torinese della generazione di P. Levi abbiano avuto un rapporto in qualche maniera significativo con la montagna. Del resto, seppur non torinese, mi viene in mente lo stesso Bocca . . .
Del resto, giusta la tua osservazione sul rapporto di Levi con la montagna (e condivido il tuo giudizio sul Sistema Periodico). Credo che molti della borghesia torinese della generazione di P. Levi abbiano avuto un rapporto in qualche maniera significativo con la montagna. Del resto, seppur non torinese, mi viene in mente lo stesso Bocca . . .
Ospite- Ospite
Re: Le montagne di Primo Levi
E' abbastanza nurmal, per dei turineis, questo rapporto con la muntagna, vedere anche Mila, ecc...
In Ferro oltre alle zone del pinerolese (tra l'altro adesso non è più LO ma è La Sbarüa) parla della zona del Gran Paradiso. Posto classico per dei torinesi.
Il Dente di M. Boh... mi sa che è una denominazione di fantasia. Forse, invece di dente, Testa di Money... per rimanere nel Gran Paradis...?
In Ferro oltre alle zone del pinerolese (tra l'altro adesso non è più LO ma è La Sbarüa) parla della zona del Gran Paradiso. Posto classico per dei torinesi.
Il Dente di M. Boh... mi sa che è una denominazione di fantasia. Forse, invece di dente, Testa di Money... per rimanere nel Gran Paradis...?
grizzly- Messaggi : 67
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Re: Le montagne di Primo Levi
Il Biv.Martinotti esiste ancora ed è posizionato in alta Valnontey (Valle d'Aosta), nel gruppo del Gr.Paradiso. Alla base delle ormai quasi defunte (in termini di ghiaccio..) pareti nord della Roccia Viva e della Becca di Gay. Ci ho dormito proprio per salire la nord della Roccia Viva, nel '96 o nel '97 ed è il classico scatolino a semibotte da 4/5 posti. Da un decennio o poco più, un po' più in alto è stato posizionato un altro bivacco, sempre a semibotte ma più grande, il "Borghi".
Posti magici per chi ha ancora voglia di camminare qualche ora per raggiungere un riparo non gestito e salire poi vie storiche ma senza clamore intorno. Ho delle vecchie diapo, ma comunque sul web si trovano diverse immagini.
Il libro lo avevo letto anni fa trovandolo geniale e coinvolgente, come tanti altri scritti di Primo Levi. Il capitolo "Ferro" mi aveva particolarmente emozionato proprio perchè parlava dei luoghi frequentati con mio padre nei primissimi anni di attività in montagna.. Sbarua, Denti di Cumiana, Piantonetto, ecc.. Li riconoscevo, potevo "vederli" con gli stessi occhi di Levi!
Ma questo particolare del Dente di M. in invernale non lo ricordavo proprio.. farò una ricerca.
Posti magici per chi ha ancora voglia di camminare qualche ora per raggiungere un riparo non gestito e salire poi vie storiche ma senza clamore intorno. Ho delle vecchie diapo, ma comunque sul web si trovano diverse immagini.
Il libro lo avevo letto anni fa trovandolo geniale e coinvolgente, come tanti altri scritti di Primo Levi. Il capitolo "Ferro" mi aveva particolarmente emozionato proprio perchè parlava dei luoghi frequentati con mio padre nei primissimi anni di attività in montagna.. Sbarua, Denti di Cumiana, Piantonetto, ecc.. Li riconoscevo, potevo "vederli" con gli stessi occhi di Levi!
Ma questo particolare del Dente di M. in invernale non lo ricordavo proprio.. farò una ricerca.
schen- Messaggi : 715
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Re: Le montagne di Primo Levi
Bravissimo alessandro!
Mia moglie ha comprato quel libro giusto qualche settimana fa, ora mi hai incuriosito tantissimo, da stasera so cosa fare
E cercherò anche di chiarire i riferimenti meno chiari ed espliciti ai nostri monti (tipo il Dente di M)...
Per il bivacco vedo che ti ha già risposto schen
Mia moglie ha comprato quel libro giusto qualche settimana fa, ora mi hai incuriosito tantissimo, da stasera so cosa fare
E cercherò anche di chiarire i riferimenti meno chiari ed espliciti ai nostri monti (tipo il Dente di M)...
Per il bivacco vedo che ti ha già risposto schen
d_ice- Messaggi : 145
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Ferro
Grazie Alessandro!
Ricordo che lessi Il bellissimo racconto Ferro anche su Alp o sulla Rivista della Montagna.
C'è qualcuno che ricorda meglio di me o che ha ancora quel vecchio numero?
Ricordo che lessi Il bellissimo racconto Ferro anche su Alp o sulla Rivista della Montagna.
C'è qualcuno che ricorda meglio di me o che ha ancora quel vecchio numero?
CarloX- Messaggi : 19
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Re: Le montagne di Primo Levi
Sono io che devo ringraziare voi. Ho semplicemente lanciato un sasso (mosso dalla curiosità e dal fascino che Primo Levi ha sempre esercitato su di me) ma siete voi che state arricchendo la discussione
Riporto allora anche il resto del racconto circa il Dente di M.
Emoziona anche me rileggerlo ogni volta.
Altre volte erano imprese più impegnative: mai tranquille evasioni, poiché Sandro diceva che, per vedere i panorami, avremmo avuto tempo a quarant’anni. “Dôma, neh?” mi disse un giorno, a febbraio: nel suo linguaggio, voleva dire che, essendo buono il tempo, avremmo potuto partire alla sera per l’ascensione invernale del Dente di M’, che da qualche settimana era in programma. Dormimmo in una locanda e partimmo il giorno dopo, non troppo presto, ad un’ora imprecisata (Sandro non amava gli orologi: ne sentiva il tacito continuo ammonimento come un’intrusione arbitraria); ci cacciammo baldanzosamente nella nebbia, e ne uscimmo verso la una, in uno splendido sole, e sul crestone di una cima che non era quella buona.
Allora io dissi che avremmo potuto ridiscendere di un centinaio di metri, traversare a mezza costa e risalire per il costone successivo: o meglio ancora, già che c’eravamo, continuare a salire ed accontentarci della cima sbagliata, che tanto era solo quaranta metri più bassa dell’altra; ma Sandro, con splendida malafede, disse in poche sillabe dense che stava bene per la mia ultima proposta, ma che poi, “per la facile cresta nord-ovest” (era questa una sarcastica citazione dalla già nominata guida del Cai) avremmo raggiunto ugualmente, in mezz’ora, il Dente di M’; e che non valeva la pena di avere vent’anni se non ci si permetteva il lusso di sbagliare strada.
La facile cresta doveva bene essere facile, anzi elementare, d’estate, ma noi la trovammo in condizioni scomode. La roccia era bagnata sul versante al sole, e coperta di vetrato nero su quello in ombra; fra uno spuntone e l’altro c’erano sacche di neve fradicia dove si affondava fino alla cintura. Arrivammo in cima alle cinque, io tirando l’ala da far pena, Sandro in preda ad un’ilarità sinistra che io trovavo irritante.
- E per scendere? - Per scendere vedremo, - rispose; ed aggiunse misteriosamente: - Il peggio che ci possa capitare è di assaggiare la carne dell’orso -. Bene, la gustammo, la carne dell’orso, nel corso di quella notte, che trovammo lunga. Scendemmo in due ore, malamente aiutati dalla corda, che era gelata: era diventato un maligno groviglio rigido che si agganciava a tutti gli spuntoni, e suonava sulla roccia come un cavo da teleferica. Alle sette eravamo in riva a un laghetto ghiacciato, ed era buio. Mangiammo il poco che ci avanzava, costruimmo un futile muretto a secco dalla parte del vento e ci mettemmo a dormire per terra, serrati l’uno contro l’altro. Era come se anche il tempo si fosse congelato; ci alzavamo ogni tanto in piedi per riattivare la circolazione, ed era sempre la stessa ora: il vento soffiava sempre, c’era sempre uno spettro di luna, sempre allo stesso punto del cielo, e davanti alla luna una cavalcata fantastica di nuvole stracciate, sempre uguale. Ci eravamo tolte le scarpe, come descritto nei libri di Lammer cari a Sandro, e tenevamo i piedi nei sacchi; alla prima luce funerea, che pareva venire dalla neve e non dal cielo, ci levammo con le membra intormentite e gli occhi spiritati per la veglia, la fame e la durezza del giaciglio: e trovammo le scarpe talmente gelate che suonavano come campane, e per infilarle dovemmo covarle come fanno le galline. Ma tornammo a valle coi nostri mezzi...
Riporto allora anche il resto del racconto circa il Dente di M.
Emoziona anche me rileggerlo ogni volta.
Altre volte erano imprese più impegnative: mai tranquille evasioni, poiché Sandro diceva che, per vedere i panorami, avremmo avuto tempo a quarant’anni. “Dôma, neh?” mi disse un giorno, a febbraio: nel suo linguaggio, voleva dire che, essendo buono il tempo, avremmo potuto partire alla sera per l’ascensione invernale del Dente di M’, che da qualche settimana era in programma. Dormimmo in una locanda e partimmo il giorno dopo, non troppo presto, ad un’ora imprecisata (Sandro non amava gli orologi: ne sentiva il tacito continuo ammonimento come un’intrusione arbitraria); ci cacciammo baldanzosamente nella nebbia, e ne uscimmo verso la una, in uno splendido sole, e sul crestone di una cima che non era quella buona.
Allora io dissi che avremmo potuto ridiscendere di un centinaio di metri, traversare a mezza costa e risalire per il costone successivo: o meglio ancora, già che c’eravamo, continuare a salire ed accontentarci della cima sbagliata, che tanto era solo quaranta metri più bassa dell’altra; ma Sandro, con splendida malafede, disse in poche sillabe dense che stava bene per la mia ultima proposta, ma che poi, “per la facile cresta nord-ovest” (era questa una sarcastica citazione dalla già nominata guida del Cai) avremmo raggiunto ugualmente, in mezz’ora, il Dente di M’; e che non valeva la pena di avere vent’anni se non ci si permetteva il lusso di sbagliare strada.
La facile cresta doveva bene essere facile, anzi elementare, d’estate, ma noi la trovammo in condizioni scomode. La roccia era bagnata sul versante al sole, e coperta di vetrato nero su quello in ombra; fra uno spuntone e l’altro c’erano sacche di neve fradicia dove si affondava fino alla cintura. Arrivammo in cima alle cinque, io tirando l’ala da far pena, Sandro in preda ad un’ilarità sinistra che io trovavo irritante.
- E per scendere? - Per scendere vedremo, - rispose; ed aggiunse misteriosamente: - Il peggio che ci possa capitare è di assaggiare la carne dell’orso -. Bene, la gustammo, la carne dell’orso, nel corso di quella notte, che trovammo lunga. Scendemmo in due ore, malamente aiutati dalla corda, che era gelata: era diventato un maligno groviglio rigido che si agganciava a tutti gli spuntoni, e suonava sulla roccia come un cavo da teleferica. Alle sette eravamo in riva a un laghetto ghiacciato, ed era buio. Mangiammo il poco che ci avanzava, costruimmo un futile muretto a secco dalla parte del vento e ci mettemmo a dormire per terra, serrati l’uno contro l’altro. Era come se anche il tempo si fosse congelato; ci alzavamo ogni tanto in piedi per riattivare la circolazione, ed era sempre la stessa ora: il vento soffiava sempre, c’era sempre uno spettro di luna, sempre allo stesso punto del cielo, e davanti alla luna una cavalcata fantastica di nuvole stracciate, sempre uguale. Ci eravamo tolte le scarpe, come descritto nei libri di Lammer cari a Sandro, e tenevamo i piedi nei sacchi; alla prima luce funerea, che pareva venire dalla neve e non dal cielo, ci levammo con le membra intormentite e gli occhi spiritati per la veglia, la fame e la durezza del giaciglio: e trovammo le scarpe talmente gelate che suonavano come campane, e per infilarle dovemmo covarle come fanno le galline. Ma tornammo a valle coi nostri mezzi...
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Re: Le montagne di Primo Levi
io... eh eh... con un po' di pazienza lo 'scanno' e lo posto qui. E' un racconto grandioso e bravo Alessandro per il topic.CarloX ha scritto:Grazie Alessandro!
Ricordo che lessi Il bellissimo racconto Ferro anche su Alp o sulla Rivista della Montagna.
C'è qualcuno che ricorda meglio di me o che ha ancora quel vecchio numero?
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Re: Le montagne di Primo Levi
Il finale del racconto
Perciò sono grato a Sandro per avermi messo coscientemente nei guai, in quella ed in altre imprese insensate solo in apparenza, e so con certezza che queste mi hanno servito più tardi. Non hanno servito a lui, o non a lungo. Sandro era Sandro Delmastro, il primo caduto del Comando Militare Piemontese del Partito d’Azione. Dopo pochi mesi di tensione estrema, nell’aprile del 1944 fu catturato dai fascisti, non si arrese e tentò la fuga dalla Casa Littoria di Cuneo. Fu ucciso, con una scarica di mitra alla nuca, da un mostruoso carnefice-bambino, uno di quegli sciagurati sgherri di quindici anni che la repubblica di Salò aveva arruolato nei riformatori. Il suo corpo rimase a lungo abbandonato in mezzo al viale, perché i fascisti avevano vietato alla popolazione di dargli sepoltura. Oggi so che è un’impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere in una pagina scritta: un uomo come Sandro in specie. Non era uomo da raccontare né da fargli monumenti, lui che dei monumenti rideva: stava tutto nelle azioni, e, finite quelle, di lui non resta nulla; nulla se non parole, appunto.
Potrei sbagliarmi di grosso, ma ricordo che su fv, in quel fantastico topic pieno di fisica sub-atomica che parlava del LHC di Ginevra, qualcuno (Luca Signorelli?) aveva scritto che tra i ricercatori italiani coinvolti nel progetto ci fosse anche un nipote di Sandro Delmastro. Mi ricordo bene questa cosa perchè allora mi era parsa una rivincita fenomenale nei confronti della storia. Ciao!
Perciò sono grato a Sandro per avermi messo coscientemente nei guai, in quella ed in altre imprese insensate solo in apparenza, e so con certezza che queste mi hanno servito più tardi. Non hanno servito a lui, o non a lungo. Sandro era Sandro Delmastro, il primo caduto del Comando Militare Piemontese del Partito d’Azione. Dopo pochi mesi di tensione estrema, nell’aprile del 1944 fu catturato dai fascisti, non si arrese e tentò la fuga dalla Casa Littoria di Cuneo. Fu ucciso, con una scarica di mitra alla nuca, da un mostruoso carnefice-bambino, uno di quegli sciagurati sgherri di quindici anni che la repubblica di Salò aveva arruolato nei riformatori. Il suo corpo rimase a lungo abbandonato in mezzo al viale, perché i fascisti avevano vietato alla popolazione di dargli sepoltura. Oggi so che è un’impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere in una pagina scritta: un uomo come Sandro in specie. Non era uomo da raccontare né da fargli monumenti, lui che dei monumenti rideva: stava tutto nelle azioni, e, finite quelle, di lui non resta nulla; nulla se non parole, appunto.
Potrei sbagliarmi di grosso, ma ricordo che su fv, in quel fantastico topic pieno di fisica sub-atomica che parlava del LHC di Ginevra, qualcuno (Luca Signorelli?) aveva scritto che tra i ricercatori italiani coinvolti nel progetto ci fosse anche un nipote di Sandro Delmastro. Mi ricordo bene questa cosa perchè allora mi era parsa una rivincita fenomenale nei confronti della storia. Ciao!
Ospite- Ospite
Re: Le montagne di Primo Levi
“per la facile cresta nord-ovest” (era questa una sarcastica
citazione dalla già nominata guida del Cai) avremmo raggiunto
ugualmente, in mezz’ora, il Dente di M’;
questa frase potrebbe aiutarci a scoprire la montagna "nascosta" dietro la volutamente criptica descrizione di Levi.. si riesce a risalire a quale Guida del CAI fa riferimento?
Non ho il libro con me ovviamente.. ma forse, nelle pagine precedenti, se si riesce a stabilire la zona coperta dalla suddetta Guida (dei Monti d'Italia.., credo possa anche trattarsi di quella del Gran Paradiso, edizione 1939) allora il campo si restringerebbe.
Possiamo farcela!
citazione dalla già nominata guida del Cai) avremmo raggiunto
ugualmente, in mezz’ora, il Dente di M’;
questa frase potrebbe aiutarci a scoprire la montagna "nascosta" dietro la volutamente criptica descrizione di Levi.. si riesce a risalire a quale Guida del CAI fa riferimento?
Non ho il libro con me ovviamente.. ma forse, nelle pagine precedenti, se si riesce a stabilire la zona coperta dalla suddetta Guida (dei Monti d'Italia.., credo possa anche trattarsi di quella del Gran Paradiso, edizione 1939) allora il campo si restringerebbe.
Possiamo farcela!
schen- Messaggi : 715
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Re: Le montagne di Primo Levi
[quote="alessandro"]
Lo Sbarüa è un prisma di granito che sporge di un centinaio di metri da una modesta collina irta di rovi e di bosco ceduo: come il Veglio di Creta, è spaccato dalla base alla cima da una fenditura che si fa salendo via via più stretta, fino a costringere lo scalatore ad uscire in parete, dove, appunto, si spaura, e dove esisteva allora un singolo chiodo, lasciato caritatevolmente dal fratello di Sandro.
Ecco la Sbarua
Lo Sbarüa è un prisma di granito che sporge di un centinaio di metri da una modesta collina irta di rovi e di bosco ceduo: come il Veglio di Creta, è spaccato dalla base alla cima da una fenditura che si fa salendo via via più stretta, fino a costringere lo scalatore ad uscire in parete, dove, appunto, si spaura, e dove esisteva allora un singolo chiodo, lasciato caritatevolmente dal fratello di Sandro.
Ecco la Sbarua
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LULU'- Messaggi : 104
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Re: Le montagne di Primo Levi
[quote="alessandro"]
Riporto allora anche il resto del racconto circa il Dente di M.
Emoziona anche me rileggerlo ogni volta.
potrebbe essere uno dei denti d’AMBIN: il dente Meridionale
http://www.altox.it/ValsusaAlpinismo/dentiambin.htm
Riporto allora anche il resto del racconto circa il Dente di M.
Emoziona anche me rileggerlo ogni volta.
potrebbe essere uno dei denti d’AMBIN: il dente Meridionale
http://www.altox.it/ValsusaAlpinismo/dentiambin.htm
LULU'- Messaggi : 104
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Località : Torino
Re: Le montagne di Primo Levi
brava lulù! nella seconda foto si vede benissimo la linea della Guido Rossa (che bastonate)
d_ice- Messaggi : 145
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Re: Le montagne di Primo Levi
d_ice ha scritto:brava lulù! nella seconda foto si vede benissimo la linea della Guido Rossa (che bastonate)
...belle e dure le placche gialle!!!
LULU'- Messaggi : 104
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Re: Le montagne di Primo Levi
LULU' ha scritto:
Ecco la Sbarua
Grazie LULU
E' proprio questo che andavo cercando... riuscire a dare un'immagine, una dimensione concreta, a montagne, a pareti, a creste innevate, dove spesso mi ero fermato a pensare, a fantasticare, ma che fino a questo momento erano rimaste confinate solo nella mia testa, o nella carta di una pagina stampata.
Ed è sempre affascinante vedere un luogo per la prima volta, e riscoprirlo uguale o diversissimo da come ce lo eravamo sempre immaginato.
Grazie!
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Re: Le montagne di Primo Levi
I tre denti di cumiana (è una vita che non ci vado, c'è anche una storica via di gervasutti, quella dei "bugnun")
d_ice- Messaggi : 145
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Re: Le montagne di Primo Levi
Il bivacco Martinotti in Valnontey
schen- Messaggi : 715
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Re: Le montagne di Primo Levi
Rocca Patanüa
d_ice- Messaggi : 145
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Re: Le montagne di Primo Levi
Sulla cresta di Money, c'è il Campanile di Money. Salito durante la traversata integrale compiuta nell'agosto 1937 da G. e S. Delmastro e P. Rosso. G. Delmastro (il fratello?) sale anche la via diretta alla Nord della Roccia Viva nel 1940. Sempre partendo dal Martinotti. Insomma ci bazzicavano... e forse il Dente è il Campanile?
grizzly- Messaggi : 67
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Re: Le montagne di Primo Levi
grizzly ha scritto:Sulla cresta di Money, c'è il Campanile di Money. Salito durante la traversata integrale compiuta nell'agosto 1937 da G. e S. Delmastro e P. Rosso. G. Delmastro (il fratello?) sale anche la via diretta alla Nord della Roccia Viva nel 1940. Sempre partendo dal Martinotti. Insomma ci bazzicavano... e forse il Dente è il Campanile?
Sì, G. Delmastro era il fratello del Sandro di Primo Levi. Nel racconto si fa menzione di questo fratello che (cito a memoria) "stava a Sandro come Sandro stava ai comuni mortali" o qualcosa del genere...
Batman- Messaggi : 367
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Località : Roma
Re: Le montagne di Primo Levi
d_ice ha scritto:I tre denti di cumiana (è una vita che non ci vado, c'è anche una storica via di gervasutti, quella dei "bugnun")
ma non è di gervasutti quella dei bognun! E' di Ravelli
Re: Le montagne di Primo Levi
Batman ha scritto:grizzly ha scritto:Sulla cresta di Money, c'è il Campanile di Money. Salito durante la traversata integrale compiuta nell'agosto 1937 da G. e S. Delmastro e P. Rosso. G. Delmastro (il fratello?) sale anche la via diretta alla Nord della Roccia Viva nel 1940. Sempre partendo dal Martinotti. Insomma ci bazzicavano... e forse il Dente è il Campanile?
Sì, G. Delmastro era il fratello del Sandro di Primo Levi. Nel racconto si fa menzione di questo fratello che (cito a memoria) "stava a Sandro come Sandro stava ai comuni mortali" o qualcosa del genere...
Bien, merci! Non ho il libro sottomano e non me lo ricordavo.
Ci può stare... in effetti. Una variante diretta alla Nord. Partenza alla 5 dal Martinotti, alle 10 in vetta. Due chiodi da ghiaccio usati... 1940...
Ultima modifica di grizzly il Ven Apr 13, 2012 2:42 pm - modificato 1 volta.
grizzly- Messaggi : 67
Data d'iscrizione : 04.04.12
Re: Le montagne di Primo Levi
Vi ringrazio tantissimo tutti quanti, non immaginate il regalo che mi state facendo
E mi ripropongo a breve di passare per almeno qualcuno di questi posti!
Quest’ultimo, lo Sbarüa, mi pare fosse stato scoperto da Sandro stesso, o da un suo mitico fratello, che Sandro non mi fece mai vedere, ma che, dai suoi scarsi accenni, doveva stare a lui come lui stava alla generalità dei mortali.
E mi ripropongo a breve di passare per almeno qualcuno di questi posti!
Ricordavi bene BatmanBatman ha scritto:
Sì, G. Delmastro era il fratello del Sandro di Primo Levi. Nel racconto si fa menzione di questo fratello che (cito a memoria) "stava a Sandro come Sandro stava ai comuni mortali" o qualcosa del genere...
Quest’ultimo, lo Sbarüa, mi pare fosse stato scoperto da Sandro stesso, o da un suo mitico fratello, che Sandro non mi fece mai vedere, ma che, dai suoi scarsi accenni, doveva stare a lui come lui stava alla generalità dei mortali.
Ospite- Ospite
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