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The Nose: tra sogno e leggenda

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280912

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The Nose: tra sogno e leggenda Untitled_-91


di Luca Biagini


http://alpinesketches.wordpress.com/2012/09/27/the-nose-sogno-e-leggenda/

Quasi due secoli sono passati dalla prima comparsa dell’uomo bianco in questa valle celebre in tutto il mondo - prima il luogo era frequentato solo dalla tribù degli Ahwahnee, ma ancora oggi le sensazioni suscitate dalla vista della magnifica Valle non sono cambiate. Innumerevoli foto su libri e riviste e altrettante visionabili in rete e filmati hanno portato le immagini di Yosemite e quindi delle sue pareti in tutto il mondo.
Da vent’anni conoscevamo le forme e i nomi delle pareti, dei singoli tiri di corda delle vie più famose, tanto da temere di poter essere delusi da un’eventuale visita di quei luoghi tanto blasonati e quasi “inflazionati”. Sino al grande giorno.

E’ un’anonima giornata di fine ottobre ed è quasi mezzanotte, quando fermiamo l’auto all’ingresso della Valle, di colpo, perché nell’oscurità si profila, immensa, a sinistra, rischiarata dalla luce lunare, una parete enorme: El Capitan. Non c’è dubbio è lei, la più famosa big wall del mondo. E’ bellissima, restiamo senza fiato, così ad osservarla in silenzio, per minuti, sussurrando solo: “E' bellissima”. Alcune luci sulla parete ci fanno ipotizzare la presenza di diverse cordate: proviamo ad indovinare il nome delle vie. Vorremmo già essere su!

Il giorno seguente lo passiamo a preparare il materiale e il saccone e solo a pomeriggio inoltrato con l’ultimo sole riusciamo a portarci all’attacco della via, a risalirne il primo facile tiro di corda e a provare ad imbastire il primo penoso recupero del sacco. Non abbiamo mai affrontato una via in stile big wall, ma non abbiamo fretta, vogliamo solo concederci una bella e piacevole vacanza verticale e siamo fiduciosi di imparare a muoverci su una parete tanto grande e complessa strada facendo.

Lasciamo il sacco alla prima sosta e torniamo a dormire in campeggio: domani si parte! Il primo giorno comincia lentamente, all’alba, e vede Valentina condurre da capocordata in un alternarsi d’arrampicata libera e artificiale; a lei toccherà anche recuperare il sacco, mentre io risalirò in jumar ripulendo il percorso dal materiale. Alle Sickle ledges il cambio: ora sono io a condurre la salita e il primo mitico ostacolo -il pendolo per raggiungere le Stovelegs cracks- è presto superato anche se non senza qualche timore di non riuscire a saltare al di là del diedro che si trova proprio a metà del grande pendolo.

Le splendide fessure delle Stovelegs (così chiamate perché Harding - il primo salitore del Nose - le salì usando come chiodi dei piedi di stufa segati) ci sembrano ben più difficili di quanto non sia dichiarato nella relazione; facciamo quindi l’esperienza della difficile arrampicata ad incastro dello Yosemite. La parete ora si fa più ripida, ma almeno questo ci fa risparmiare un po’ di energia nel recupero del pesante saccone. Arriviamo alla Dolt Tower - un esiguo e comodo terrazzino a 300 metri da terra - quando il sole se ne sta andando e decidiamo di prepararci per la prima notte in parete.


Non ci facciamo mancare niente a cena, siamo qui per vivere tre giorni in verticale e vogliamo stare bene senza troppe privazioni, per cui cerchiamo di rendere soprattutto i bivacchi i più confortevoli possibile, con materassini, caldi sacchi a pelo (è ormai novembre) e cibo a volontà.
Il secondo giorno di parete riparte Valentina e condurrà per metà giornata. Abbiamo scelto di dividere le giornate in due parti e non di procedere in una classica “alternata” alpina per diversi motivi: il secondo risale a jumar perché il primo è impegnato nel recupero del sacco, cambiare ad ogni sosta l’assetto della cordata comporterebbe una perdita di tempo; in questo modo si automatizzano alcuni compiti e manovre che traggono beneficio -in termini di velocità e sicurezza- dalla ripetizione.

Eccoci su El Cap Tower, una torre gigantesca appoggiata alla parete e da cui comincia uno dei tratti più rischiosi dell’intera ascensione: il Texas Flake, un’enorme sfoglia di granito alta 50 metri con la forma dello stato del Texas. Bisogna salirla al suo interno inizialmente con la tecnica d’opposizione in camino, poi questa si stringe progressivamente verso l’alto e bisogna incastrarsi e strisciare letteralmente verso l’alto, con la spiacevole sensazione della fessura che si allarga sotto i piedi e che impedisce un facile incastro: bisogna continuamente tenere tutto il corpo in tensione e progredire centimetro dopo centimetro con ondulazioni tipo "bruco". Le pareti assolutamente lisce non lasciano speranza di protezione e solamente un timido spit a metà lunghezza dà una piccola parvenza di sicurezza.

The Nose: tra sogno e leggenda 2

Siamo ora sul Boot Flake, un’altra foglia di granito, questa volta a forma di stivale, incollata in vero oceano di granito dorato.
Da qui la via prosegue decisamente spostata verso sinistra e bisogna aggirare un grande spigolo arrotondato, privo di fessure, attraverso il secondo grande pendolo di questa via incredibile: il King Swing. Una prima calata seguita da un pendolo porta a mettere una protezione verso sinistra; da qui bisogna farsi calare nuovamente e un altro pendolo verso sinistra conduce fuori dalla vista del compagno ad un sistema di fessure che condurrà alla Eagle Ledge. Sono io a fare il grande pendolo trovando un sistema non ortodosso: dopo alcuni tentativi falliti di raggiungere le fessure correndo, decido di effettuare una traversata sfruttando la tensione della corda tesa e l’attrito delle suole “spalmate” in aderenza. Riesco così al primo tentativo, con grande stupore di Valentina. La manovra di recupero del sacco porta via qui molto tempo e solo con la penombra riusciamo ad arrivare al terrazzino scomodo e inclinato chiamato Camp IV, dove passiamo la seconda notte in parete.

Il mattino sveglia Valentina che dopo un breve tiro di riscaldamento deve affrontare quello che è uno dei tratti più famosi dell’intero percorso: il tiro del Great Roof. Estremo in arrampicata libera, si lascia salire in artificiale abbastanza facilmente; ci fotografiamo diverse volte e la prospettiva verso il basso comincia ad assumere le sembianze che ci ricordiamo dalle tante immagini viste in passato. Ora è il Pancake Flake a dover essere salito, uno dei tratti più estetici della parete: un diedro geometrico perfetto, la roccia di un colore giallo arancio oro che è un inno alla scalata. Ora la parete si fa pian piano sempre più strapiombante e complice il fatto che gran parte dei viveri e dell’acqua l’abbiamo consumata, il recupero del sacco è un’operazione sempre più facile da eseguire.

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Arriviamo con largo anticipo sui tempi al nostro posto di bivacco - il Camp VI - e Valentina decide di fissare le corde anche sul primo tiro previsto per domani: il difficile e celebre Changing corners. Questo è il tratto più difficile dell’ascensione e solo Lynn Hill è riuscita a salirlo in libera (nel 2005 anche Tommy Caldwell) al momento della nostra salita. Anche in artificiale il passaggio non è semplice e impegna Valentina a lungo. Io mi godo sdraiato in sosta nel sacco a pelo gli ultimi raggi di sole.
Ridiscesa Valentina sul comodissimo terrazzo del bivacco diamo fondo a tutte le provviste -poche lunghezze ci separano ormai dalla cima- e cominciamo a pensare di essere ormai riusciti a salire il mitico Nose. E’ vero che un’ascensione come la nostra (con tutti i tratti difficili superati in artificiale) non è cosa strabiliante e alla portata di molti scalatori con buona esperienza; ma è anche vero che fino a quando non lo hai fatto...

In fondo sapevamo di molte rinunce e tentativi falliti anche ai nostri giorni anche da parte di scalatori più forti di noi, soprattutto quello che c’impensieriva era non avere esperienza in merito a big wall e alle manovre di corda tipiche di questo stile. Temevamo di essere lenti e di perdere la motivazione una volta in parete, cosa che facilmente può succedere quando dopo diversi tiri di corda alzi la testa e vedi la meta che sembra sempre alla stessa distanza. Questi sono i pensieri che ci accompagnano in quest’ultima sera verticale e prima di addormentarci ci diciamo che da domani faremo per un po’ i turisti, però!

Il giorno successivo risalita la corda fissata la sera precedente non ci rimangono che poche lunghezze di corda ed arriviamo a metà mattina su questa cima che non è proprio una cima, ma un altopiano, finalmente ci sleghiamo dopo tanto tempo e togliamo l’imbragatura e camminiamo in orizzontale su un piano che non sia più piccolo di 2 mq.
Un Grande disse qualche anno fa che "la vita non è altro che la realizzazione dei sogni di gioventù."

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Il materiale che ci siamo portati:

1 corda intera, 2 mezze corde, 3 maniglie Jumar, 1 croll, 20 rinvii, cordini e fettucce, secchiello, piastrina, pro traxion, 2 serie di nuts, 2 serie di micro nuts, 3 per ogni misura di friends da 0.5 a 1 pollice, da 2 a 3 per ogni misura di friends da 1,5 a 3,5 pollici, 1 per ogni misura di friends da 3,5 a 4,5 pollici (tabella comparativa delle misure di friends delle varie marche e pollici su www.supertopo.com), 1 casco, 2 sacchi a pelo, 2 materassini, fornellino, lampada a gas, 2 pile frontali, macchina fotografica, 2 pentolini, posate.
Non abbiamo usato martello e chiodi da roccia ma solo protezioni veloci.
Viveri per 3 giorni, 16 litri di acqua (e ne abbiamo avanzata ma a Novembre la Tmax è stata di +13°, in altre stagioni aumentare la razione giornaliera)
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