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Sass Maòr, la supermatita delle Dolomiti

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Sass Maòr, la supermatita delle Dolomiti
di Francesco Lamo


http://alpinesketches.wordpress.com/2011/06/09/sass-maor-la-supermatita-delle-dolomiti/

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Emil Solleder aveva già realizzato la prima ascensione della parete nord-ovest della Civetta quando scalò, insieme a Franz Kummer, la parete est del Sass Maòr. Nonostante questa paternità lusinghiera, il Sass Maòr risulta oggi appena sfiorato dalla celebrità. Tuttavia questa torre ciclopica è una delle strutture più sbalorditive delle Dolomiti. La sua storia è caratterizzata da un alpinismo forte e discreto in cui, come capita spesso su questo massiccio, la scalata esprime una poesia della verticale.







Osservata dalla Val Pradidali, la strepitosa struttura del Sass Maòr sembra un enorme missile posizionato sulla rampa di lancio. Sono in particolare le pareti est e sudest a caratterizzare questa singolare forma del «Maòr», il quale – in particolare nella cuspide sommitale – si affila a simulare la forma di un ciclopico razzo, di ben 1.000 metri di dislivello. Dagli opposti versanti, quelli settentrionali ed occidentali, notevolmente più contenuti nelle dimensioni e meno appariscenti nelle forme, il Sass Maòr potrebbe invece assomigliare addirittura ad una Madonna dalla testa china.

Certamente trattasi di una delle più impressionanti ed inconsuete architetture alpine e ciò è rafforzato dal fatto che il Sass Maòr è un pilastro isolato dal resto delle cime delle Pale di San Martino. Esso risulta infatti collegato, in direzione ovest, esclusivamente alla Cima della Madonna, posta sopra il Rifugio delVelo.

La vetta del Sass Maòr venne conquistata nel 1875 dagli esploratori inglesi H.A. Beachcroft e C.C. Tucker con le guide F. Devoassoud e B. Della Santa, che raggiunsero la forcella tra la Cima della Madonna e il Sass Maòr dal versante nord. Ben maggiore successo riscosse la seconda salita assoluta della vetta, 6 anni più tardi: D. Diamantidi, M. Bettega, L. Cesaletti e F. Colesel salirono alla medesima forcella, ma dal versante sud: attualmente è questa la via normale. Altri alpinisti legarono il loro nome ai versanti nord, sud e ovest (Guido Pagani, Benvenuto Laritti, Antonio Bernard ed altri), ma una trattazione a parte ed approfondita merita la storia delle pareti orientali (est, sud-est e nord-est).

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Sulla via Solleder-Kummer. Foto Marco Cabbia

Sarà il 1926 l’anno del primo itinerario sulla parete est: la guida monachese Emil Solleder e Franz Kummer, tralasciando l’enorme scivolo della parte inferiore della parete, attaccarono lungo la rampa obliqua (o Banca Orba) che, da sinistra a destra, raggiunge il centro della muraglia. Da qui, una prima espostissima traversata a destra, una parete verticale giallo-nera ed una seconda traversata a sinistra conducono al grande diedro centrale, lungo il quale raggiungeranno vetta. L’ascensione diventò subito una grande classica delle Dolomiti, per esposizione, qualità della roccia e difficoltà relativamente contenute (600 metri di dislivello, V+). Sarà Gabriele Franceschini (scomparso nel 2009, a 87 anni) a percorrere la storica via in prima solitaria assoluta, nel 1948: il «povero vecchio», come egli usava definirsi spesso, può essere considerato uno dei massimi conoscitori di sempre del Massiccio delle Pale di San Martino.

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Sulla via Scalet-Biasin. Foto Francesco Lamo

A risolvere il problema del selvaggio spigolo sud-est sarà invece una affiatatissima coppia di rocciatori, nell’era del sesto grado (1934): Ettore Castiglioni e Bruno Detassis. La celebre cordata risolse, con difficoltà pari alla Solleder, seppur meno continue (700 m,VI-), l’arrotondato spigolone ben visibile dal Sentiero del Cacciatore. Questa via ebbe meno successo della via del 1926, probabilmente per la minore esposizione e la maggiore discontinuità.Vista la chiodatura più scarsa, tale itinerario ben sostiene il paragone, in termini di impegno, con la Solleder-Kummer. Considerata la pubblicazione della relazione della Castiglioni-Detassis su alcune guide di successo, questa salita sta conoscendo una seconda giovinezza.Toni Marchesini la ripeterà da solo nell’estate del 1964, dopo aver realizzato la seconda solitaria della Solleder l’anno precedente, a cui però nessun testimone assistette.

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Sulla Castiglioni-Detassis al Sass Maòr. Foto Enrico Paganin

Il 1955 deve essere ricordato perché la via Solleder verrà raddrizzata da A. Bettega, G.Gilli e L.Gorza, realizzando una variante di 550 metri di dislivello (V+), che completò in modo assolutamente estetico la via degli scalatori della scuola di Monaco, salendo l’evidente e arrotondato spigolone orientale. La risultante tra i due itinerari, conosciuta appunto come Solleder-Bettega, permise di salire finalmente il «pilone del Maòr» nella sua interezza, per un dislivello totale di 1.000 metri.

Nove anni più tardi, nell’agosto del 1964, venne realizzato uno dei massimi capolavori nella parete sud-est: Samuele Scalet e Giancarlo Biasin salirono in 3 giorni le grigie e ripide placche che partono verticalmente a metà della «Banca Orba» e poi continuarono per gli spaventosi gialli soprastanti. Nella parte strapiombante, un diedro giallo e nascosto, la successiva traversata a sinistra e la serie di successiveverticali placche nere li condussero alla base della cupola strapiombante, che verrà risolta anche con l’aiuto di qualche chiodo a pressione. Purtroppo, per una banale scivolata sul sentiero del Cacciatore (e a salita compiuta), Biasin morì nella discesa e Scalet decise di dedicargli la strabiliante salita. La tragedia lasciò tracce così profonde in Samuele che decise addirittura di lasciare l’alpinismo.

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Sulla via Alessio Massarotto. Foto Claudio Moretto

Scalet dichiarò che in apertura furono usati oltre 200 chiodi, per paura che la salita venisse svalutata, anche se in realtà ne piantarono poco più di 30. In ogni caso la Biasin, come appunto viene comunemente indicata, fu considerata per decenni uno dei banchi di prova per i Dolomitisti di tutta Europa e rimane a tutt’oggi una bellissima salita, difficile ed estremamente esposta. La sua chiodatura, mai troppo eccessiva, mantiene elevato l’impegno: nessun ripetitore, nemmeno il più sfrontato, potrà mai affermare che la Biasin è una salita mediocre o dal limitato significato estetico!


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Sulla via Alessio Massarotto. Foto Claudio Moretto

Sarà Gigi Grana, Onorato Casiraghi e Alberto Maschio ad effettuare la primaripetizione l’anno successivo, mentre il fuoriclasse Renato Casarotto firmerà la prima solitaria invernale nel 1980. Nel

1979 il feltrino Maurizio Zanolla (soprannominato Manolo) ripeterà la Biasin completamente in arrampicata libera, toccando il 7c nello strapiombante muro finale. Attualmente, per chi ripete la salita nello stile classico, le difficoltà toccano il VI+ (obbligatorio) e A0 con passi di A1, per un dislivello totale di 600 metri.

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Sulle grandi placconate della parte bassa di Supermatita (Foto Lorenzo Fanni)

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Supermatita. Alla ricerca della via, in traverso verso i gialli (Foto Lorenzo Fanni)

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Supermatita. Le nebbie salgono dal fondovalle sul Castello di Onyx (Foto Lorenzo Fanni)

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Alla ricerca del facile nel difficile, nella parte alta di Supermatita (Foto Gabriele Canu)

Una delle realizzazioni più impegnative sulla parete est, forse la più significativa in assoluto dal punto di vista alpinistico, venne compiuta nell’estate del 1980: Manolo e Piero Valmassoi salirono direttamente le lisce placche grigie poste a sinistra della variante Bettega, incrociarono la Solleder sulla rampa e proseguirono tra i gialli superiori verso la cima, alla ricerca della massima arrampicata libera. Lungo una fessura strapiombante e marcia, e il successivo traverso, affrontarono difficoltà di VII obbligatorio (e forse lo superarono) e lungo tutti i 1.000 metri di via piantarono solo 7 chiodi. Nacque così Supermatita, un capolavoro assoluto, una via di riferimento per le future generazioni. Sarà l’astro nascente Roland Mitterstainer, accompagnato da Oliver Renzler, a ripercorrere integralmente per primo le tracce dei primi salitori, otto anni più tardi.Nel corso del caldo inverno 1988-1989 le guide di San Martino, Renzo Corona e Donato Zagonel (Donadèl), realizzarono la prima salita invernale, mentre il roveretano Maurizio Giordani firmò la prima solitaria invernale: egli salì fino alla Banca Orba il primo giorno e poco tempo dopo risalì dalla medesima per affrontare gli strapiombi gialli della parte superiore.La straordinaria Supermatita mantiene attorno a sè una sorta di alone di mistero, soprattutto relativamente alla scarsissima chiodatura ed alla precarietà della roccia nella parte alta.

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Lungo il primo traverso della Solleder, tipico delle vie dolomitiche dell’epoca del sesto grado. Foto Marco Cabbia.

Saranno ancora dei roveretani, Graziano Maffei (Feo) e Paolo Leoni, nel 1982, a proseguire nella ricerca di nuovi spazi prima a destra della fascia di splendide placche grigio-argento e poi affrontando l’inesplorato spigolo nord-est,dove superarono una lunga serie di diedri giallo-grigi, incontrando difficoltà diVI+ e A2, su un dislivello ancora di 1.000 metri. La salita venne dedicata a Bruno Crepaz, alpinista schivo,ma dotato di eccezionale carisma.

A Lorenzo Massarotto (Mass), uno dei più importanti ed enigmatici dolomitisti degli anni ‘80 e ‘90, accompagnato dal fido Leopoldo Roman, spetta la paternità di un nuovo itinerario tracciato nel 1983, lungo fino a 1.000 m e posto a destra della Solleder-Bettega. Il percorso verrà ripreso dai forti Claudio Carpella ed Ermes Bergamaschi tre anni più tardi, ma resterà comunque relativamente sconosciuto, come altre vie nuove aperte dal Mass in Dolomiti, e verrà dedicato ad Alessio Massarotto. Le difficoltà toccano «solo» il VI UIAA, ma, c’è da giurarci, saranno sicuramente destinate al rialzo da parte dei ripetitori.Dopo l’apertura, in parete restano 11 chiodi, sui 16 totali utilizzati.

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Sass Maòr, zoomata sulla parete est. Foto Marco Cabbia

Come fossero Scherzi d’estate (questo è il nome della nuova via, tracciata nel 1988), la grande – e sempre disponibile – guida della valle Renzo Corona, insieme ad Alfredo Bertinelli, superò le placche grigie a sinistra della Biasin (il punto di attacco è pressoché il medesimo), raccordandosi alla Castiglioni-Detassis poco sotto alla vetta. La roccia, come lascia intuire la vista dalla Biasin, sarà giudicata davvero ottima e ricchissima di clessidre, motivo per il quale non verrà utilizzato alcun chiodo. Lo sviluppo sarà valutato in oltre 600 metri e le difficoltà massime sfioreranno ilVI+.

Anche i cechi Igor Koller e Dino Kuran,più conosciuti per gli exploit in Marmolada, faranno a loro volta visita al Maòr (1992) tracciando una variante o – a seconda dei gusti – una via a se stante: The change is life si sviluppa appena a sinistra del raccordo Bettega, lungo appunto una teoria di placche di oltre 500 metri, che conduce alla fine della rampa della via Solleder-Kummer. Le difficoltà, secondo quanto dichiarato dai primi salitori, lasciano alcune perplessità ed invitano alla riflessione: V+, con un tiro diVIII. Il materiale lasciato in parete consistette in 3chiodi di sosta ed uno spit sul tiro chiave.

Ancora Manolo, l’anno successivo dei cechi, con alcuni soci perlustrò la parete a sinistra della sezione gialla della Biasin e, anche in discesa, piantò alcuni spit: Manolo dichiarò che gli strapiombi risultavano così aggettanti che, per rientrare con la corda doppia, fu costretto a bucare la parete. L’uso del trapano dall’alto (prima volta su questa parete) innescò alcune flebili polemiche, che vennero smorzate dalla bellezza della via e dall’impegno richiesto per poterla percorrere: 8a. Mauro Bole (Bubu) e Riccardo Scarian (Sky) ne confermarono le difficoltà e l’elevato impegno. Era nata Nurejev. Manolo stesso ne tentò poi una ripetizione solitaria arrivando anche piuttosto in alto, prima di desistere per il cattivo tempo.

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Lungo la Biasin. Foto Claudio Moretto

A 53 anni suonati, nel 1993, Samuele Scalet tornò all’alpinismo ed alle sue Pale: una passione mai spenta. Nel 2001 con Davide Depaoli (figlio e nipote rispettivamente delle famose guide valligiane Giampaolo e Camillo) e Marco Canteri (nipote di Samuele) tracciò un itinerario autonomo e bellissimo lungo la parete sud-est, Masada, di oltre 1.000 metri di dislivello. Masada è l'acronimo dei nomi dei primi salitori e anche il nome di un'antica ed inespugnabile fortezza vicino al Mar Morto, per Israele dal forte significato patriottico di resistenza. La via sarà percorsa per la prima volta d’inverno (febbraio 2009) da Rolando Larcher e Fabio Leoni e in libera da Riccardo Scarian (ottobre 2009) con difficoltà fino all’8b. Nel 2002 Samuele si ripetè su Onix con Gianni Fellin, che corre tra Supermatita e Masada, con difficoltà fino al VII+ e A0. Questa ultima realizzazione, caratterizzata da un’arrampicata spettacolare in un crescendo di emozioni, risulterà divisa in due parti: la parte bassa, fino alla rampa Solleder, denominata Quarti di Luna e la parte alta chiamata Fieora del Sabo. Entrambe le salite vennero realizzate con l’utilizzo di alcuni spit di passaggio e a protezione di qualche sosta.

Sono quindi attualmente solo cinque i grandi itinerari che percorrono integralmente la parete sud-est dalla base fino in cima, escludendo la possibile combinazione Bettega + Solleder.

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Sulla Biasin. Foto Claudio Moretto

Dopo una lunga ed inesorabile malattia, che ha anche caratterizzato gli ultimi anni del suo alpinismo, a gennaio di quest’anno Samuele Scalet ci ha lasciati, in compagnia del silenzio. A lui sono dedicate queste brevi note di vicende ed avvenimenti di alpinismo sui versanti orientali del Sass Maòr, l’immenso «matitone» delle Pale.



Una parete da 11 vie

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Parete est. Foto Marco Cabbia

1. Castiglioni-Detassis
Ettore Castiglioni, Bruno Detassis, 26 luglio 1934, 700 m, VI-. L’itinerario percorre
lo spigolo che delimita a sinistra la parete est.
La via, un tempo poco frequentata, è ora tornata
abbastanza di moda e si svolge su roccia eccellente.
Presenti alcuni chiodi di sosta e passaggio.

2. Scherzi d’Estate
Renzo Corona, Alfredo Bertinelli,
28 agosto 1988, 600 m, VI+. L’itinerario sale la grigia
parete a sinistra della Biasin ed incrocia la Castiglioni.
Salita su roccia ottima, ricca di clessidre e quasi
completamente sprovvista di chiodi.

Sass Maòr, la supermatita delle Dolomiti Sass_maor_parete_est_e_est_sud_est_linee-_foto_marco_cabbia
Parete est e est, sud-est. Foto Marco Cabbia

3. Nurejev
Maurizio Zanolla, Walter Bellotto, Andrea
Trema, Alfredo Bertinelli, Mariano Lott, 21 settembre
1993, 300 m, 8a. Itinerario di concezione moderna
che sale gli strapiombi gialli a sinistra della via Biasin.
Le soste sono chiodate a spit, come le 7 lunghezze
dell’itinerario (7-8 spit per tiro).

4. Giancarlo Biasin
Samuele Scalet, Giancarlo Biasin,
1-3 agosto 1964, 600 m, VI+ e A0-A1 o 7c. Via classica,
bellissima e molto esposta che sale prima le grigie
placche che partono a metà della rampa Solleder
e poi i gialli strapiombi e le successive righe nere ben
visibili dal basso. Sufficientemente chiodata sia alle
soste che sulle lunghezze di corda. Consigliabile qualche
friends e nuts assortito.

5. Solleder-Kummer
Emil Solleder, Franz Kummer,
2 settembre 1926, 600 m, V+. E’ la via più classica
della parete. Partendo da metà parete, supera
un’evidente rampa da sinistra a destra e con due traversi
molto esposti accede ai diedri e camini terminali.
Non va sottovalutata anche se risulta chiodata a
sufficienza sia alle soste che sulle diverse lunghezze.

6. Onix
Samuele Scalet, Gianni Fellin, ottobre 2001
e luglio 2002, 1.000 m, 6c e A0. Itinerario lunghissimo
e grandioso, compreso tra le vie Biasin e Supermatita.
La roccia è sempre ottima e sono presenti alcuni spit
sia alle soste che sui passaggi.

7. Supermatita
Maurizio Zanolla, Piero Valmassoi,
agosto 1980, 1.000 m, VII+. Itinerario straordinario
e leggendario, molto impegnativo, non tanto per le
difficoltà, ma soprattutto per la ricerca del percorso,
per la scarsa chiodatura e per la qualità della roccia
di alcune lunghezze della parte superiore.

8. Raccordo Bettega
Aldo Bettega, Giorgio Gilli e Luigi Gorza,
23 luglio 1955, 550 m, V+. Percorso che permette
di raccordarsi con la via Solleder-Kummer e che completa
alpinisticamente e stilisticamente quest’ultima.
9. Masada: Samuele Scalet, Davide Depaoli, Marco Canteri,
agosto 2001, 1.000 m, 6c+ e A1 o 8b. Itinerario grandioso
ed atletico, chiodato a spit sia alle soste che sui passaggi.
La via è situata a sinistra della Bettega-Solleder. Molto
utili nuts e friends per integrare i passaggi più difficili.

Sass Maòr, la supermatita delle Dolomiti Sass_maor_parete_est_e_nord_est_-_foto_marco_cabbia
Parete est e nord-est. Foto Marco Cabbia

10. Bruno Crepaz
Graziano Maffei, Paolo Leoni,
1-4 settembre 1982. Percorso molto impegnativo
che affronta le placche a destra del Raccordo Bettega
e successivamente la grande macchia bianca compresa
fra due evidenti tetti. La parte superiore si immette
in una stupenda teoria di diedri gialli e grigi che
incidono il grandioso spigolo nord-est del Sass Maòr.

11. Alessio Massarotto
Lorenzo Massarotto, Leopoldo Roman,
9 luglio 1983, 1.000 m, VI. Scalata
assolutamente impegnativa per l’ambiente severo e
nascosto e per la rada chiodatura. Necessita esperienza
per ricercare il percorso migliore tra le grigie placconate.



Grazie alla cortesia di Maurizio Oviglia per la pubblicazione di questo estratto dal n. 25, settembre - ottobre 2010 di Vertical Magazine.

Francesco Lamo è dottore forestale e professionalmente si occupa di agricoltura ambientale e di agricoltura di montagna. Vive nella campagna padovana con Elisa, Francesca, Matilde e Kory, un simpatico Border collie che adora camminare per sentieri. Prima che di alpinismo, è soprattutto appassionato di montagna, in particolare quella bellunese e vicentina. Di passaggio sulla nord-ovest della Civetta, attraverso i percorsi meno difficili, ha scoperto la parete da sogno. Con Marco, Enrico, Raffaele, Walter, Ivo, Stefano, Cristiano, Michele e altri Amici ha trascorso giornate che non si dimenticano.



le foto sono degli autori citati
i tracciati di via sono a cura di Alpine Sketches
Alpine Sketches © 2011
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