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Mark Twight

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170512

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Quando ho cominciato a salire duro ho pensato che non sarei vissuto oltre i 26 anni. Stranamente, sono sopravvissuto 20 anni dopo la mia data di scadenza prevista. Ho smesso di contare sul "no future" e imparato a convivere con il non sapere il futuro. Dopo aver fatto fino a questo punto è giunto il momento di costruire un luogo per le cose fatte, pensate e scritte in passato.

da http://www.marktwight.com

Nella generazione americana a cui appartengono Blanchard, Alex Lowe, Steve House, Scott Backes, Jeff Lowe, Will Gadd e Charlie Fowler la parola chiave è misto, e l’aggettivo corretto è estremo.
L’alpinismo degli 8000 era selvaggiamente esaltato dai polacchi, capeggiati da Kukuzka, quello Europeo dai leoni francesi ( Escoffier, Boivin, Berhault, Profit, Beghin…), mentre su roccia italiani e tedeschi firmavano sulle dolomiti le vie più estreme. E, naturalmente, stava arrivando la scuola slovena, capace su tutto.
Gli americani erano indietro, ed era un paradosso perché soltanto pochi anni prima erano stati i più innovativi grazie a Yosemite, al free climbing, alla maestria nell’artificiale. Ma all’alba della seconda metà degli anni ’80 gli americani dovevano rincorrere gli europei, e tra loro c’era un personaggio singolare e sfrenatamente ambizioso.

Fabio Palma da Apinia.net

Mark Twight, fra di loro, non è stato il migliore; lo ammette anche lui, fra le righe, anche se qualche via in Alaska irripetuta, cinque anni di fuoco trascorsi a Chamonix e quindi sul Bianco e altri feroci tentativi in Kazhakistan, Himalaya e Karakorum fanno comunque di lui un grande protagonista del misto estremo, ovvero di quella branca dell’alpinismo in cui il ghiaccio regna fra tratti di roccia raramente affidabili. Il pericolo che corre Twight è che egli, in definitiva, venga ricordato più per le sue doti di scrittore che per le sue performances alpinistiche. “Il miglior libro di letteratura alpinistica di tutti i tempi”, hanno detto al Festival internazionale di Banff, quando ha vinto il primo premio, e forse il giudizio non è spropositato. “Confessioni di un serial climber” è la miglior rappresentazione di quella faccia dell’alpinismo che la maggior parte dei libri che pure amiamo evita pudicamente: quella del cinismo, dell’ambizione senza ritegno, della violenza caratteriale. Qualità figlie del dolore che si prova, continuamente, nell’alpinismo estremo, soprattutto in quello dove domina lo stile alpino leggero, quello che ripudia corde fisse, portatori, zaini pesanti.

Mark Twight MFT_Hunter_4th
Deprivation - Monte Hunter

Dopo 21 giorni di attesa nella piccola tenda con fuori le tempeste dell'Alaska, la nostra partnership è sull'orlo del disastro . Le nostre ambizioni frustrate ci rendono tesi come le corde di una chitarra. Ogni evento viene ingrandito. Ogni piccola incursione nel mio spazio personale mi fa rabbrividire per legittima difesa o contrattacco scioccamente. Odio la maggior parte quando fa slurps (mangiando) la minestra, non ho mai pensato che potesse essere così forte. Ho fatto il caffè sei giorni di fila. E 'il suo turno, ma non si è offerto di svegliarsi prima e bollire l'acqua ... Il successo, quando finalmente arriva, è il risultato di velocità e una perfetta sinergia tra di noi. Noi comunichiamo senza parole. Siamo dentro l'altro la testa. L'interdipendenza è totale. A 72 ore di burst. 41 ore di scalata continua il secondo "giorno". E 'stata l'esperienza della montagna più intensa che abbia mai avuto. Tornati nella relativa sicurezza della nostra tenda le piccole cose non contano più. La ricompensa per la fatica e il rischio ha rimesso tutto in ordine. Mi piace anche il modo in cui beve la minestra. Alaska, Stati Uniti - Mount Hunter (4556m) North Buttress prima salita di "privazione" ED +, 90 ° +, Alaskan Grade 6 15-17 maggio 1994 Scott Backes & Mark Twight

Nel visionario tentativo sul Nuptse ( che solo moltissimi anni dopo,nel 2003, Babanov e Koshelenko hanno portato a termine) con Jeff Lowe, sul Nanga Parbat, sulle guglie del Bianco, Twight ha rischiato, ha aperto vie al limite, ma ha soprattutto applicato lo scomodissimo atteggiamento ribelle punk al mondo della montagna: con i compagni, con i giornali, con se stesso.
Ecco perché entra nella storia dell’alpinismo per la porta principale, pur non essendo stato né un Cesen né un Berhault né un Jeff Lowe.

Nessuno meglio di lui ha avuto il coraggio di scrivere quello che succede, spesso ed inevitabilmente, nell’alpinismo di punta.

Mark Twight Noble-IceClimber
Su "Stone Free" in Rifle Colorado

Ovvio che ci si possa domandare quanto sia pericoloso, per un giovane, leggere un libro così estremo nel linguaggio, nel pensiero, nelle azioni descritte: emulare lo Spirito di Twight vuol dire rischiare seriamente di non arrivare ai 30 anni, come lui stesso ammette e come si comprende con stupore leggendo di così tante tragedie descritte.
E’ la logica dell’alpinismo estremo, una filosofia su cui Twight ha anche scritto un manuale, “Estreme Alpinism”, anch’esso pluridecorato: una logica stringente che fa partire il nostro eroe da una piccola tenda col materiale all’essenziale, con riserve di cibo al minimo, con la spada di Damocle delle ore di luce a disposizione. Cose come 39 ore consecutive di scalata, digiuni di giorni, aperture di vie in Inverno senza nessun appoggio, sono tanto lontane dalla realtà quanto Twight è stato lontano dalla vita sociale in tutta la sua esistenza.

Mark Twight Nanga_Storm_Dig
Parete Rupal - Merkl Gully - Doyle e Blanchard

Verrebbe il dubbio che lui abbia incarnato il vero alpinismo, e che davvero per andare in montagna bisognerebbe ascoltare musica Punk ad altissimo volume.
Ha scritto:
“Le valanghe ebbero l’effetto di farmi tremare le budella. Quel lungo gemito primordiale fece scattare in me la reazione da fatti sotto o smamma, anche se non c’era proprio niente contro cui battersi. In parete eravamo abbastanza al sicuro. Continuammo a salire giorno dopo giorno. Era gradevole. Era orribile. Era un dolore costante. Ero un uomo che stava per affogare e che per reazione si arrampicava come un disperato: spingevo, insistevo, provavo a fondere la mente nel corpo. Posso anche essere posseduto, posso anche essere ossessionato, ma sono capace di provare sentimenti, so amare come tutti voi. Non avevo portato il walkman, così cantavo”
“ I giovani punk e la musica avevano generato in me una veemente intolleranza verso la stupidità e la mediocrità, e l’estremismo diventò la mia soluzione.
Bacia o uccidi.

Mark Twight 3_74
Eiger

L’Eiger non bastava. L’Alaska non bastava. E non bastavano le più scatenate ascese in solitaria. Qualunque cosa facessi, la sofferenza che provavo non mi dava soddisfazione. Dovevo averne di più. Poi ho conosciuto Jeff Lowe.
Jeff ha dieci anni più di me. Abbiamo gusti diversi. In sostanza lui era una specie di hippy. Sono giovane, e per questo non so esattamente cosa significhi, ma sospetto che gli hippy fossero delle specie di punk, ma senza l’incazzatura. Attenzione, però, Jeff è una persona profonda, anche se non del mio genere di cupa profondità. Non andrebbe mai a una festa di compleanno dove tutti sono in abito da sera.
Non m’importa la grana.
Non m’importano le necessità della vita.
M’importa solo quando mi provocano.
Mi importa arrampicare, punto.
Jeff mi aveva invitato al Kangtega e al Nuptse: «Nuove vie, Mark, un terreno difficile, alto, sconosciuto…» Avevo visto Jeff una sola volta, prima. Sapevo che era bravo. Accettai. Con soli dieci giorni di anticipo, troncai con tutto quello che avrebbe potuto trattenermi. Sono diventato davvero bravo col coltello”.


Mark Twight Jeff_Kangtega_Headwall
Kangtega - Jeff Lowe




"L'alpinista saggio teme quello che c'è da temere, e non esita a tornare indietro quando è il caso di farlo. Accetta di buon grado paura e stress, e sa rinunciare al proprio io fino a raggiungere la consapevolezza che è il caos a regnare."

"Una volta fatta propria l'impotenza nei confronti dell'ambiente circostante, capisce l'importanza di sviluppare una dimensione spirituale e allo stesso tempo di alimentare il proprio legame con la montagna. Quando questo succede, quando l'alpinista si trasforma in puro movimento e infine in montagna stessa, ecco allora che comprende il vero senso di ciò che gli sta di fronte, il peso di ogni sua azione e il pericolo legato al mutamento della più piccola variabile."

"Mettendomi alla prova e preparandomi duramente ho sviluppato uno stile personale di meditazione attiva che mi ha permesso, su alcune vie, di raggiungere uno stato di empatia con la montagna così forte da avere la certezza che non avrei mai potuto commettere errori. In quei giorni potevo leggere nella mente del mio compagno e muovermi libero dai vincoli della forza di gravità; abbandonata ogni coscienza di me stesso, diventavo la montagna stessa. È stato in quei giorni che ho realizzato le imprese più importanti"



da fuorivia

NON È ORA DI PIANGERE
Sarebbe stato divertente, se non fosse capitato a me. Era successo anche ad altri di perdere degli amori e forse anche
più, per un' occasione del genere.
Confrontai l'egoismo dei sacrifici che avevano affrontato e l'appagamento che avevano avuto come contropartita.
Nessun giocatore accanito si è mai domandato se ne valesse o no la pena.
Non le andava proprio che me ne andassi per due mesi, ogni primavera e ogni autunno. Questo viaggio, così vicino a
quello che l'aveva preceduto, poteva rovinare la nostra storia.
Ne parlammo a pranzo, seduti ai tavolini di un caffè all'aperto, campo neutro nel quale nessuno dei due aveva mai
mangiato prima. Ordinai un'insalata di spinaci e formaggio di capra. Lei prese un caffè doppio, macchiato, senza
zucchero. La tensione mi opprimeva il petto.
Lei giocherellava con l'anello di fidanzamento. Le avevo detto che le volevo bene, ma sapeva lo stesso che nella mia
vita c'era qualcosa di più importante. Attaccai brusco, domandandole se le spiaceva che di lì a due settimane andassi
sull'Everest. Fece una smorfia: chiaro, era preparata ad affrontare la situazione. Doveva aver letto il fax con la
proposta.
«Questo locale non è il posto per discutere una cosa del genere.»
Anche il linguaggio del corpo suggeriva che cercassimo un luogo più appartato.
Ma sapevo che se fossimo andati a casa prima di risolvere la faccenda avrei mollato.
Non era mai stata casa mia.
Non ci avevo mai stabilito una presenza maschile, e non mi ci sentivo a mio agio. Aveva linee morbide e luci soffuse
che mi facevano sentire vulnerabile.
Mi aveva invitato a vivere con lei, ma io mi ci sentivo come un abusivo.
All'improvviso ebbi la precisa sensazione che la faccenda si sarebbe messa male.
La sola difesa che avevo era attaccare.
Potevo uscirne indenne, lasciando che lei desse la colpa di tutto alle mie imprese, onnivore e catartiche com'erano.
D'altra parte poteva essere lei a fare il primo passo, prima che io trovassi il coraggio.
Era spaventosamente matura, e mi fece render conto di quanto, al confronto, fosse infantile scalare le montagne.
«Vedi, Allan, sei appena tornato da una spedizione. Sei stato in casa tre settimane, e non mi hai dato niente perché
non eri abbastanza in forze: dovevi "recuperare", dicevi. Pensavo che stessimo facendo dei progressi, ma se te ne vai
di nuovo ... non so.»
Era giustamente gelosa delle premure che riservavo alla montagna. Di sicuro non le davo granché quando la notte mi
stendevo nel letto, ma rimanevo insonne per il desiderio di amare lei quanto amavo la montagna. Lei mi rendeva
umile proprio come l'arrampicata, Col passare del tempo, non era più così. Non la considero colpa sua.
Lei viene dopo 1'Everest e la mia attività di climber.
Nell'ultima spedizione ho perso un altro buon amico. La sua caduta dal Kanchenjunga ha riaperto vecchie ferite, di
quelle che il tempo non guarisce. Dove c'era lui, adesso c'è un gran dolore che non mi fa star bene in nessun posto.
Ma 1'esperienza che ho fatto arrampicando non riesce a tener testa alla paura che lei mi lasci per sempre.
Credevo di essere pronto per questo faccia a faccia, ma se lei mi mollerà per prima, sarò perso: sarò in suo potere, non
sarò più padrone di me.
Così attacco, per risolvere il problema che mi si pone ogni volta, perché sono così disincantato che so che comunque la
rottura è inevitabile.
E una pessima abitudine, ma fletto lo stesso i muscoli.
«Ci andrò comunque, che tu resti con me oppure no. Non voglio perderti, Monique, ma l'Everest conta di più. Può
cambiare la mia carriera.»
Sono sincero, e spero che apprezzi lo sforzo.
Accendo una sigaretta, chiedo un portacenere al cameriere, e riprendo: «Ho bisogno di sapere, insomma, se devo
lasciare da noi le mie cose, oppure se devo spedirle negli States ... »
Prende dalla borsa una delle sue Dunhill, e si china in avanti per accenderla dalla mia.
Mi sbuffa la prima boccata dritta in faccia, un gesto che io non ho mai avuto il coraggio di fare.
« ci penso io a spedirtele, visto che sarai occupato con gli sponsor e l'organizzazione. Le mando da tua madre, oppure
ad un altro indirizzo?»
M i ha pugnalato per bene, proprio un bel colpo. Ho venti anni, non ho un lavoro del quale parlare, e nessun indirizzo.
Passo tutta la vita a scalare montagne o a scrivere di come le ho scalate.
La mia rete di protezione è una famiglia scombinata negli States, per questo avevo sperato in un futuro insieme a lei.
"'Ma non posso sprecare l'occasione di andar sulla montagna più alta del mondo per salvare il nostro rapporto.
L'Everest mi ha chiamato, e malgrado l'amore che provo per lei, ho risposto.
Ho accettato di soffrire, come se dovessi scontare una pena perché sono sopravvissuto quando altri non ci sono
riusciti
Ho addossato a lei la colpa del fiasco sul Kanchenjunga.
Per la prima volta in vita mia ero quasi .arrivato ad anteporre un altro essere umano all' arrampicata.
Ci ero andato, ma avevo fatto fatica a giustificarmi.
A ogni modo evitare. l'Everest era fuori discussione.
Se lo scalo senza scorta di ossigeno, da solo o da una nuova via, sarò a posto per tutta la vita con gli sponsor e con gli
amabili giri di conferenze nelle società sportive di arrampicata.
A volte mi chiedo perché non posso scalare solo per il gusto di farlo.
Perché oggi è tutto un business? Mi sono inoltrato troppo su questa strada per pensare di rincominciare tutto da
capo.
Il successo è come le ciliegie, uno tira l'altro.
Rifiuto tutte le sensazioni meno intense di quelle procurate dalle scalate sulle più grandi montagne del mondo.
Piuttosto mi sbarazzo delle cose.
Faccio tutto senza le cose che altri danno per scontate.
Posso darei un taglio anche questa volta? So che lo faro, perché se smettessi di arrampicare sarei una nullità.
Teneva caffè e sigaretta in una mano, continuava a indicare l'anello che le avevo regalato, e intanto faceva un
sorrisetto ironico. «Allora, ti avevo spiegato che avevo bisogno di una persona che mi stesse accanto, e tu mi avevi
promesso di restare.»
«No io ti avevo detto che ti amavo e che avrei fatto quello che potevo per aiutarti, che le montagne qui attorno mi
sarebbero bastate. Ma ho concluso la frase dicendo chiaramente “per un po’"»
«Sono a un punto critico della mia carriera, ed e un momento difficile. Ho bisogno di sostegno e di aiuto, ,e se tu non
hai carattere a sufficienza per darmi quello che u chiedo, allo: credo che dovrò trovarmi qualcuno che possa farlo».
«Sapevi com'ero, quando ti sei innamorata di me.»
«Quello che ho davanti adesso è un uomo che non mantiene le promesse. Hai paura di provare in un rapporto umano
la dedizione assoluta che dici di avere per la montagna. Quindi tu non puoi darmi quello di cui ho bisogno.»
Ero abituato a fare sempre a modo mio, e non mi ero affatto immaginato che avrebbe reagito con questa
determinazione.
Riuscii a digerire il preavviso di licenziamento, ma appena cominciai a rispondere lei riprese a parlare.
«Non interrompermi, è tutto già abbastanza sgradevole. Quando hai deciso di andare, perché non l'hai fatto e basta?
Non hai neanche le palle per dirmi che è così o cosà. Ti aiuterò a fare i bagagli. Userò i miei contatti con le linee aeree
per facilitarti
la partenza, se ne hai bisogno.
Puoi anche rimanere nell'appartamento, e forse posso anche lasciarti far l'amore con me. Ma una volta che te ne sei
andato, è finita. Per sempre.»
Il suo freddo senso pratico mi sorprese.
Non ero sicuro di poterlo sopportare.
Avrei voluto che mi odiasse.
Avrei voluto che si disperasse, così potevo andarmene senza rimorsi.
Se mi avesse cacciato a calci, nel momento della depressione avrei sempre potuto compatirmi.
Quella, almeno, sarebbe stata una condizione da climber. Invece si era limitata a indicarmi la porta.
Avrei accettato la sua offerta di un tetto e il suo aiuto un atteggiamento più opportunista che pratico, da parte mia.
Probabilmente sarei anche andato a letto con lei.
Credevo che avremmo trovato un equilibrio comune.
n fin dei conti ero felice di poter contare su di lei, e su di noi.
Avevo portato Il caos nella nostra storia applicando il mio stretto pragmatismo, da bianco o nero, da alta quota.
Quando sei lassù tutto è chiaro e ovvio, fare la scelta giusta vuol dire vivere: sopravvivere.
Spesso una decisione sbagliata provoca sofferenza, e a volte la morte.
Quaggiù non si muore, ma mi sono domandato se in realtà vivere non possa essere peggio.
Un tempo ridevo. dei miei amici che facevano tutto il possibile per andarsene di casa senza rotture, per poter tornare
avendo un punto d'appoggio.
Erano allibiti di fronte al mio sistematico rifiuto di farmi una casa, di stare in città.
Erano impressionati dalla mia rigorosa dedizione all'alpinismo a spese del prossimo.
Allora, questo era lo scopo della mia vita.
Sfruttavo tutte le occasioni per dimostrare la mia dedizione, e abbattevo con furore qualunque ostacolo. , Adesso.
Sono meno risoluto.
A spingermi in montagna non è più un desiderio onnivoro. Al contrario, è quello che ci ho investito che mi imprigiona.
Le mosse arroganti che ho fatto per arrampicare hanno ferito parecchia gente, facendomi ritrovare ogni volta un po’
più incatenato.
Amo arrampicare.
Amo anche lei, e dover scegliere tra le due cose non era più tanto semplice come in passato.
Avrei voluto che la dottrina del bianco e nero non mi stesse alle calcagna e vorrei non aver costretto lei a imparare
questa lezione. Non avevo previsto che potesse rivoltarmi contro le mie teorie da tutto o niente.
Ero stufo di combattere e mi domandavo perché proprio questo viaggio non potesse filar liscio, senza che nessuno ci
facesse caso.
Stavo rimuovendo i dettagli delle sue parole.
Una certa dose di rimozione può far risplendere un rapporto in crisi.
Sapevo che era capace di parole forti.
Avrebbe potuto spingersi più in là, ma non poteva dire cose che per me sarebbero state inaccettabili. C'è sempre un
punto fino al quale ci si può spingere, e un punto nel quale bisogna fermarsi e voltare le spalle al baratro.
Più restavo in silenzio, e meno sembrava determinata.
«Bhe, dì qualcosa. Se davvero significo qualcosa per te, dillo. Potrebbe non cambiare le cose, ma almeno te l'avrò
sentito dire e mi aiuterà a sopportare il resto.»
Poi, con dolcezza: «Quanto avrei voluto che mi dicessi che mi ami. Non hai mai capito quanto ne avessi bisogno. Non
credo sia una richiesta eccessiva, una volta tanto. Mi bastava che lo facessi una volta. Credevo in te ... adesso mi è
difficile, e per colpa tua.»
La fissavo senza vederla, con lo sguardo rivolto dentro di me, concentrato sull'immagine di una elegante linea
ascensionale tracciata sul fianco di una montagna.
Era diretta e semplice, non come la situazione che stavo vivendo.
'Dopo aver atteso una risposta, lei disse: «Guarda, lasciamo perdere le scenate e i sentimenti che proviamo in questo
momento. So che sei arrabbiato con me e con te stesso pero scia perdere. Non avrebbe dovuto andare così. Il silenzio
mi paventa».
Il fumo della sigaretta mi arrivò negli occhi.
Si formarono delle lacrime.
Sotto il tavolo sollevai la maglia, trovai la pelle, mi pizzicai fino a provare un intenso dolore.
Mi tolsi gli occhiali da sole.
Fui di colpo consapevole che se le avessi sfiorato una guancia o se lei mi avesse teso una mano, avremmo potuto
aprici.
Avevo una chance di andare avanti, di dirle l’amore che provavo per lei e quanto desiderassi stare ancora insieme.
Fui sul punto di farlo, ma non ci riuscii.
Sarebbe stato troppo difficile riconoscere fino a che punto si fossero spinte le cose tra noi, o almeno mi ero convinto
che fosse COSI, per potermene andare.
Volevo che si allontanasse da me, così se fossi morto in questa spedizione per lei non sarebbe stato un problema.
Pizzicai fino a farmi venire un livido, e poi rimisi gli occhiali.
Conoscevo la formula: «Credo di avercela ancora con te perché hai tentato di cambiarmi, di rimettermi in riga».
«Sai che non è vero. Lo sai che sono cambiata.»
Poi con maggiore durezza: «Tu hai ancora i tuoi progetti: la casa, le auto, una tua famiglia, e credi che in qualche modo
io possa fame parte. Anch'io ho un piano, che non prevede concessioni né deviazioni dall'obiettivo».
Mentre dicevo quelle parole, la guardai dritta negli occhi e la vidi rendersi conto di quello che stavo per aggiungere.
«Basta, Allan. Abbiamo ancora una possibilità, se ti fermi adesso. Ti conosco. Se vai avanti, farai a pezzi tutto solo per
dimostrare che ne sei capace, e che dopo puoi anche cavartela da solo.»
«Monique, ci siamo fatti fin troppo male.»
«Sto insistendo solo perché voglio che tu ti renda conto di quanto sei importante per me, e per dimostrarti quanto mi
pesino le tue assenze, quando mi lasci sola per andartene in montagna. Ho bisogno di sapere che ho fatto tutto quello
che potevo per salvare la nostra storia.»
Il suo autocontrollo dimostrava quanto fosse convinta di quello che diceva. L'approfittatore che c'è in me argomentò
che era il momento di chiudere la partita, bastava che mi impegnassi a fingere ancora un po'.
Valutai l'ipotesi di curare la ferita, anziché cospargerla di sale, ma non potevo far marcia indietro senza sembrare
debole.
Il mio ego dipende dall'apparenza esteriore di forza e determinazione, e mi ripete in continuazione che devo fare solo
le cose che so fare davvero bene. Sono bravo a scegliere quello che conta nella mia vita: basta che si tratti
dell'arrampicata.
Mi accanisco in particolare contro gente che non se lo merita.
«Forse potremmo vivere insieme e forse no, ma restare insieme non è un compromesso che sono disposto a fare.
Potresti non perdonarmi mai il fatto di essermene andato. Potremmo perdere la nostra amicizia, e questo mi
ferirebbe sul serio. Però so che sono capace di dimenticare le pene sentimentali. Posso superarle. Sto per andarmene.
Vado in montagna, perché mi dà qualcosa che tu non potresti mai rimpiazzare.»
Con un gesto deliberato mi alzai dalla sedia, schiacciai la sigaretta sotto la scarpa, e mi sistemai gli occhiali da sole e
pagai il conto con alcune banconote stropicciate, lasciando una mancia esorbitante perché non volevo restare lì
mentre il cameriere andava a prendere il resto.
La osservai, era rassegnata.
Sul volto aveva un muto grido d'angoscia.
Le spalle erano curve sotto il peso.
Ignorai il suo dolore.
«Prenderò l'attrezzatura domani, quando sei al lavoro, e starò da JeanLuc
fino al momento della partenza.
Sarò fuori tiro per un po'. Non voglio sapere con che tipo d'uomo finirai ... Addio, Monique, E stato bello.»
Sto tremendamente male. Dentro di me vedo le cose con brutale chiarezza.
Vedo il ponte che brucia alle mie spalle e le fiamme che avvolgono il mio futuro.
È questo che voglio davvero? No. Però l'ho fatto accadere.
Non posso smetterla con le mie abitudini.
Avevo troppa paura di mostrarmi tenero, così ho reagito simulando con rabbia. Non potevo spianare il muro di
risentimento e paura che mi ripara.
Forse un giorno trovero una donna per la quale lo farò.
Ma stamattina ripenso a ieri .e tento di analizzare freddamente la questione: per importanza, in cima alla lista c'è
I'Everest, oppure la donna che ho sacrificato per avere la possibilità di scalarlo?
Ho un cerchio alla testa, e apro la prima birra della giornata.
Dimenticare gli errori che ho fatto potrebbe essere un buon inizio.
Devo soltanto superare questo momento difficile.
Poi il prossimo. Sarà senz'altro più facile, rispetto a questo..

Mark Twight Mark

Dal suo sito, relativamente alla questione dei chiodi tagliati sul Torre
http://www.marktwight.com/discourse.php?id=39


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http://www.verticalmente.net

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Mark Twight :: Commenti

Tengri

Messaggio Gio Mag 17, 2012 10:30 pm  Tengri

Alpinismo estremo l'ho letto ... un bel libro. E accanto alle storie ci sono anche alcuni buoni consigli.

Kiss or Kill è lì che aspetta di essere acquistato ... in inglese. perché la rabbia mi piace leggerla nella lingua in cui è stata incanalata ed espressa.

Twight mi ha sempre incuriosito come alpinista e come persona. Ho letto anche la sua posizione sulla rimozione dei chiodi a presione sulla via del compressore e devo dire che non sono d'accordo quasi su niente. Ma tant'è. Nulla toglie al valore delle sue salite.

Certo che leggere le sue idee sulla visualizzazione e sulla sincronizzazione degli emisferi celebrali un certo effetto lo fa ...

A memoria mi ricordo di una delle ascensioni raccontate in alpinismo Estremo, penso fosse una nuova via aperta in solitaria su una delle strutture del Bianco dalle parti dell'Aguille du Midi. Cambia il meteo. Deve correre. Fuga verso l'alto. Una lastra di ghiaccio cede. partono i ramponi Poi anche una picca. E lui rimane così, sospeso nel vuoto attaccato a una sottile lama di metallo temperato. Quando scende riflette e dice onestamente a sé stesso di aver fatto la più grande minchiata della sua vita ...

Grazie Buzz ... c'erano cose che ancora non avevo letto in giro ... Very Happy

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Giorgio Robino

Messaggio Ven Mag 18, 2012 9:20 am  Giorgio Robino

dai libri che ho letto Mark Twight mi piace.

in Kiss or Kill
mi sorprende la sua sincerità sfacciata nel dichiarare le meschinità universali dell'animo umano (alpinista). Si, il suo alpinismo, la sua vita, è (stata) "punk" ma, a parte la musica che sentiva, più generalmente nel senso di ricerca "anarchica" (parola che se non ricordo male lui stesso usava, parola che di sti tempi qui da noi sarebbe da evitare), ovvero estrema ricerca individuale, solitaria, sincera, nichilista fino alla morte (che però non è avvenuta).

il suo manuale Alpinismo Estremo
è la sua faccia buona; quella che ti da consigli su che sacco a pelo usare ed amenità così, un libro che leggo ogni tanto quando ho un dubbio tecnico... "ma Twight che dice ? ... ah dice di usare un sacco in materiale sintetico? ... allora prenderò quello." :-)

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giggio

Messaggio Ven Mag 18, 2012 9:32 am  giggio

solyaris ha scritto:in Kiss or Kill
mi sorprende la sua sincerità sfacciata nel dichiarare le meschinità universali dell'animo umano (alpinista).

L'alpinismo d'alta quota non mi ha mai interessato più di tanto, ma Twight mi ha incuriosito e poi affascinato proprio per questo.
Anche io avevo raccolto qualcosa qua: http://unfinishade.typepad.com/climbing/2010/11/confessioni-di-un-serial-climber-mark-twight.html

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Messaggio Ven Mag 18, 2012 9:37 am  Ospite

Il suo libro è uno di quelli che ha influenzato di piu la mia vita.

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Messaggio Ven Mag 18, 2012 9:49 am  buzz

Il suo libro per me è uno dei migliori di sempre.
Lo metto insieme a "montagna vissuta" di r. karl
(se non avessi fatto l'alpinista probabilmente avrei fatto il terrorista) che è immerso nel clima degli anni 70 così come Twight è immerso in quello degli anni 80-90

e a "la montagna di luce" di boardman e tasker.

Non a caso forse, per me sono i libri migliori. Sono quelli in cui gli autori-alpinisti si scavano dentro, impietosamente. Scavano nei rapporti della cordata. Sulle motivazioni, la gelosia, l'ambizione.

È singolare il fatto che quello più arrabbiato, più apparentemente sul filo, sia quello che si sia salvato.
Se cerchi Mark Twight su google escono fuori le sue foto mentre allenava attori e comparse di 300, quella cagata di film su Sparta.
Insomma niente a che vedere con l'alpinismo.
Ha risolto la sua rabbia, o l'ha incanalata altrove?
Sicuramente ha cambiato vita, ma è stato solo un cambio di ambiente o qualcosa di più?
Non conosco abbastanza bene la sua esistenza per capirlo.



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Messaggio Ven Mag 18, 2012 9:55 am  Ospite

cheers

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mork

Messaggio Ven Mag 18, 2012 11:18 am  mork

Buzz ha scritto:
Se cerchi Mark Twight su google escono fuori le sue foto mentre allenava attori e comparse di 300, quella cagata di film su Sparta.
Insomma niente a che vedere con l'alpinismo.
Ha risolto la sua rabbia, o l'ha incanalata altrove?
Sicuramente ha cambiato vita, ma è stato solo un cambio di ambiente o qualcosa di più?
Non conosco abbastanza bene la sua esistenza per capirlo.

Posso dire una cosa molto più terra-terra? Può essere che molto più prosaicamente si sia semplicemente inventato un business per quando la sua carriera di alpinista estremo sarebbe finita?

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giggio

Messaggio Ven Mag 18, 2012 11:24 am  giggio

mork ha scritto:
Buzz ha scritto:
Se cerchi Mark Twight su google escono fuori le sue foto mentre allenava attori e comparse di 300, quella cagata di film su Sparta.
Insomma niente a che vedere con l'alpinismo.
Ha risolto la sua rabbia, o l'ha incanalata altrove?
Sicuramente ha cambiato vita, ma è stato solo un cambio di ambiente o qualcosa di più?
Non conosco abbastanza bene la sua esistenza per capirlo.

Posso dire una cosa molto più terra-terra? Può essere che molto più prosaicamente si sia semplicemente inventato un business per quando la sua carriera di alpinista estremo sarebbe finita?

non ce lo vedo, uno così, che si fa i conti.
o meglio: ce lo vedo pensando che prima ha trovato la maniera di fare un po' i conti con sé stesso.

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Messaggio Ven Mag 18, 2012 11:35 am  buzz

mork ha scritto:
Buzz ha scritto:
Se cerchi Mark Twight su google escono fuori le sue foto mentre allenava attori e comparse di 300, quella cagata di film su Sparta.
Insomma niente a che vedere con l'alpinismo.
Ha risolto la sua rabbia, o l'ha incanalata altrove?
Sicuramente ha cambiato vita, ma è stato solo un cambio di ambiente o qualcosa di più?
Non conosco abbastanza bene la sua esistenza per capirlo.

Posso dire una cosa molto più terra-terra? Può essere che molto più prosaicamente si sia semplicemente inventato un business per quando la sua carriera di alpinista estremo sarebbe finita?

Si ok. Questa è l'evidenza.
Ma dico, le motivazioni che ti portano a fare alpinismo estremo, come svaniscono?
Il percorso che appare evidente superficialmente è quello di uno che vive la sua vita ai margini della società, contro di essa, in una sorta parabola tendente all'autodistruzione. Fa l'alpinista per caso. Poteva fare il biker ubriaco. Il rapinatore. Il rocker tossico.
Poi ad un certo punto qualcosa in lui si risolve, fa pace con la vita. E allora rientra nei ranghi.
La metafora: si taglia i capelli, paga un'assicurazione, mette la moto in garage... beve moderatamente e smette con le droghe. Mette su famiglia. La testa a posto.
È sopravvissuto a se stesso, alle sue pulsioni, cambia vita.

E' un percorso un filo atipico. Non dico assolutamente che nella spinta all'alpinismo estremo non ci siano sempre delle componenti che potremmo definire dissociali. O altre problematiche che sfiorano il patologico, in un quadro di normalità che è quello che conosciamo e che viene messo in discussione a volte inconsapevolmente. Ma in Twight esistono dei picchi evidenti. Molto più che in altri casi (perlomeno noti a chi conosce le persone solo per quello che hanno scritto su di loro e hanno fatto).

Beh mi piacerebbe sapere come la pensa oggi, non sull'alpinismo, ma sulla vita in genere. Vedere se questa carica disgregatrice è rientrata completamente nell'alveo. Se l'ha risolta o meglio superata accogliendola in sé oppure l'ha negata, rimossa, dimenticata.

Magari vota repubblicano e fa discorsi reazionari.

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Messaggio Ven Mag 18, 2012 11:44 am  Ospite

ho letto il suo 'parere' sulla rimozione dei chiodi da parte di K&K sul CT. Il suo coinvolgimento emotivo in una faccenda alpinistica che tutto sommato ci pone sempre anche sul piano del ma chi se ne importa, il coinvolgimento dicevo c'è, eccome.

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mork

Messaggio Ven Mag 18, 2012 11:58 am  mork

Buzz ha scritto:
mork ha scritto:
Buzz ha scritto:
Se cerchi Mark Twight su google escono fuori le sue foto mentre allenava attori e comparse di 300, quella cagata di film su Sparta.
Insomma niente a che vedere con l'alpinismo.
Ha risolto la sua rabbia, o l'ha incanalata altrove?
Sicuramente ha cambiato vita, ma è stato solo un cambio di ambiente o qualcosa di più?
Non conosco abbastanza bene la sua esistenza per capirlo.

Posso dire una cosa molto più terra-terra? Può essere che molto più prosaicamente si sia semplicemente inventato un business per quando la sua carriera di alpinista estremo sarebbe finita?

Si ok. Questa è l'evidenza.
Ma dico, le motivazioni che ti portano a fare alpinismo estremo, come svaniscono?
Il percorso che appare evidente superficialmente è quello di uno che vive la sua vita ai margini della società, contro di essa, in una sorta parabola tendente all'autodistruzione. Fa l'alpinista per caso. Poteva fare il biker ubriaco. Il rapinatore. Il rocker tossico.
Poi ad un certo punto qualcosa in lui si risolve, fa pace con la vita. E allora rientra nei ranghi.
La metafora: si taglia i capelli, paga un'assicurazione, mette la moto in garage... beve moderatamente e smette con le droghe. Mette su famiglia. La testa a posto.
È sopravvissuto a se stesso, alle sue pulsioni, cambia vita.

E' un percorso un filo atipico. Non dico assolutamente che nella spinta all'alpinismo estremo non ci siano sempre delle componenti che potremmo definire dissociali. O altre problematiche che sfiorano il patologico, in un quadro di normalità che è quello che conosciamo e che viene messo in discussione a volte inconsapevolmente. Ma in Twight esistono dei picchi evidenti. Molto più che in altri casi (perlomeno noti a chi conosce le persone solo per quello che hanno scritto su di loro e hanno fatto).

Beh mi piacerebbe sapere come la pensa oggi, non sull'alpinismo, ma sulla vita in genere. Vedere se questa carica disgregatrice è rientrata completamente nell'alveo. Se l'ha risolta o meglio superata accogliendola in sé oppure l'ha negata, rimossa, dimenticata.

Magari vota repubblicano e fa discorsi reazionari.

Restando sul terra-terra, potrei rispondere che le motivazioni che ti portano a fare alpinismo estremo svaniscono con i capelli grigi e gli addominali che non sono più quelli di una volta. Poi la pagnotta te la devi comunque guadagnare, quindi ti re-inventi allenatore dei Marines o di stelle del cinema (quella del cinema non la sapevo).
Sono d'accordo che semplifico tanto, forse troppo.

Il fatto è che dopo aver letto "Confessioni di un serial climber" ho avuto l'impressione di un personaggio un po' "costruito".

Se leggi "Questo gioco di fantasmi" di Joe Simpson, vedrai che i racconti degli inverni passati a Chamonix non sono diversi da quelli di Twight (zero soldi, un paio di mutande per tutto l'inverno, in 10 in un monolocale), solo che non scrive "cazzo" o "merda" ogni tre parole.
I racconti delle salite in "Oltre la montagna" di Steve House non sono dissimili da quelli di Twight, solo che non scrive "cazzo" o "merda" ogni tre parole.

Alla fin fine mi è sembrato di aver letto solo un altro libro di montagna, solo che c'era scritto "cazzo" o "merda" ogni tre parole.

Certamente in alcune parti ti fa vedere la realtà in maniera molto più brutale, e non solo per gli incidenti. L'inizio del libro è emblematico di questo, dove racconta di una salita e delle scariche di dissenteria nella tuta da alta montagna: non è proprio l'immagine dell'alpinista super-uomo che in tanti si immaginano...

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Messaggio Ven Mag 18, 2012 12:06 pm  buzz

Tu potrai essere anche un personaggio costruito, ma il fatto stesso che abbia deciso di costruirsi in quel modo vuol dire che non era Joe Simpson. Se no avrebbe scritto come J.S.

E quanto al fatto che smetti di essere alpinista estremo quando hai i capelli grigi... beh non mi pare proprio che il mondo dell'alpinismo che conosciamo sia pieno di gente che come gli sportivi professionisti quando il fisico inizia a non dare più la stessa risposta che dava l'anno prima smette.

Direi anzi il contrario.

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Tengri

Messaggio Ven Mag 18, 2012 12:11 pm  Tengri

Buzz ha scritto:Magari vota repubblicano e fa discorsi reazionari.

Questo non lo so. Ma sul colofon del suo libro Alpinismo estremo si dice ... copio paro paro ..."Ha lavorato come consulente e distributore per alcune importanti ditte del settore studiando la realizzazione di capi tecnici per il Dipartimento della Difesa dgli Sati Uniti e come insegnante di arrampicata e tecniche di sopravvivenza per le forze speciali dell'esercito"

Che si tratti dll'evoluzione normale di un ragazzo arrabbiato e un po' "sociopatico" che trova nell'alpinismo il modo di esprimersi? Molti dicevano lo stesso di Che Guevare, di Jim Morrison ... chissaà.

Certo è che alla fin di Alpinismo estremo Twight racconta dell'apertura in solitaria parallela con Scott Backes di Fuck'em all they're all posers anyway sil Pico Norte in Bolivia. E già il nome la dice lunga sul senso del suo scalare. 750 metri scalati dalle 11 alle 15.08. Pur con tutti i limiti che Twight stesso ammette e critica nei numeri e nelle lettere con cui si grada una via, lui e Backes la gradarono 6a, ghiaccio a 90°, TD.

Backes appese le picche al chiodo dopo quella salita e Twight stesso la considerò una specie di coronamento del loro modo di intendere il fair play sulle grandi montagne. Una foto ritrae Scott senza zaino, con una specie di grosso marsupio attaccato alla vita. Picche, ramponi, un bastoncino telescopico. Niente imbrago. Niente corda. Sembra indossare un cappelletto ... nemmeno il casco. Sta attraversando la crepaccia terminale e sopra incombono seracchi immensi.

"Come lo sciatore impara ogni stile di curva per prepararsi al giorno in cui sarà abbastanza bravo da non dover curvare, così l'alpinista deve acquisire ogni singola tecnica e approccio esistente per poter, un giorno, scalare in modo naturale, come un animale".

Direi che anche Twight a un certo punto si sarà reso conto di aver chiuso la parabola e si sarà dedicato ad altro ... utlizzando la sua expertise per vivere decorosamente. Certo che con l'Esercito ...

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Messaggio Ven Mag 18, 2012 12:17 pm  buzz

Tengri ha scritto:
"Come lo sciatore impara ogni stile di curva per prepararsi al giorno in cui sarà abbastanza bravo da non dover curvare, così l'alpinista deve acquisire ogni singola tecnica e approccio esistente per poter, un giorno, scalare in modo naturale, come un animale".

"Il re dei camosci seppe improvvisamente che era quello il giorno.
Le bestie stanno nel presente come vino in bottiglia, pronto a uscire.
Le bestie sanno il tempo in tempo, quando serve saperlo.
Pensarci prima è rovina di uomini e non prepara alla prontezza."

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biemme

Messaggio Ven Mag 18, 2012 12:34 pm  biemme

mork ha scritto:
Buzz ha scritto:
mork ha scritto:
Buzz ha scritto:
Se cerchi Mark Twight su google escono fuori le sue foto mentre allenava attori e comparse di 300, quella cagata di film su Sparta.
Insomma niente a che vedere con l'alpinismo.
Ha risolto la sua rabbia, o l'ha incanalata altrove?
Sicuramente ha cambiato vita, ma è stato solo un cambio di ambiente o qualcosa di più?
Non conosco abbastanza bene la sua esistenza per capirlo.

Posso dire una cosa molto più terra-terra? Può essere che molto più prosaicamente si sia semplicemente inventato un business per quando la sua carriera di alpinista estremo sarebbe finita?

Si ok. Questa è l'evidenza.
Ma dico, le motivazioni che ti portano a fare alpinismo estremo, come svaniscono?
Il percorso che appare evidente superficialmente è quello di uno che vive la sua vita ai margini della società, contro di essa, in una sorta parabola tendente all'autodistruzione. Fa l'alpinista per caso. Poteva fare il biker ubriaco. Il rapinatore. Il rocker tossico.
Poi ad un certo punto qualcosa in lui si risolve, fa pace con la vita. E allora rientra nei ranghi.
La metafora: si taglia i capelli, paga un'assicurazione, mette la moto in garage... beve moderatamente e smette con le droghe. Mette su famiglia. La testa a posto.
È sopravvissuto a se stesso, alle sue pulsioni, cambia vita.

E' un percorso un filo atipico. Non dico assolutamente che nella spinta all'alpinismo estremo non ci siano sempre delle componenti che potremmo definire dissociali. O altre problematiche che sfiorano il patologico, in un quadro di normalità che è quello che conosciamo e che viene messo in discussione a volte inconsapevolmente. Ma in Twight esistono dei picchi evidenti. Molto più che in altri casi (perlomeno noti a chi conosce le persone solo per quello che hanno scritto su di loro e hanno fatto).

Beh mi piacerebbe sapere come la pensa oggi, non sull'alpinismo, ma sulla vita in genere. Vedere se questa carica disgregatrice è rientrata completamente nell'alveo. Se l'ha risolta o meglio superata accogliendola in sé oppure l'ha negata, rimossa, dimenticata.

Magari vota repubblicano e fa discorsi reazionari.

Restando sul terra-terra, potrei rispondere che le motivazioni che ti portano a fare alpinismo estremo svaniscono con i capelli grigi e gli addominali che non sono più quelli di una volta. Poi la pagnotta te la devi comunque guadagnare, quindi ti re-inventi allenatore dei Marines o di stelle del cinema (quella del cinema non la sapevo).
Sono d'accordo che semplifico tanto, forse troppo.

Il fatto è che dopo aver letto "Confessioni di un serial climber" ho avuto l'impressione di un personaggio un po' "costruito".

Se leggi "Questo gioco di fantasmi" di Joe Simpson, vedrai che i racconti degli inverni passati a Chamonix non sono diversi da quelli di Twight (zero soldi, un paio di mutande per tutto l'inverno, in 10 in un monolocale), solo che non scrive "cazzo" o "merda" ogni tre parole.
I racconti delle salite in "Oltre la montagna" di Steve House non sono dissimili da quelli di Twight, solo che non scrive "cazzo" o "merda" ogni tre parole.

Alla fin fine mi è sembrato di aver letto solo un altro libro di montagna, solo che c'era scritto "cazzo" o "merda" ogni tre parole.

Certamente in alcune parti ti fa vedere la realtà in maniera molto più brutale, e non solo per gli incidenti. L'inizio del libro è emblematico di questo, dove racconta di una salita e delle scariche di dissenteria nella tuta da alta montagna: non è proprio l'immagine dell'alpinista super-uomo che in tanti si immaginano...

non mi sembra affatto terra-terra la tua considerazione mork, anzi, e anche scendendo su livelli meno estremi, il pensiero mi va di getto a un mauro corona che piglia e dismette bandana e canottiera ... non so, di certo come dice buzz, queste cose le noti solo (o in massima parte) nelle persone che molto hanno scritto (sapendo scrivere) su di loro e molto hanno fatto ... anzi alcuni pur facendo molto meno di chi meno ha scritto o meno è stato reso noto.

certo che i campus a chamonix, con le pezze al culo e ridotti alla miseria, ma macinando imprese a ripetizione, li fecero pure i kukuczka, i knez, i piotrowski & soci, e con ben poca risonanza, se non anni dopo ... e sono convinto vi siano e vi siano stati molti più alpinisti e arrampicatori "estremi", "punk", anarchici e strambi in giro per il mondo, di quanto si creda ... già solo se si pensa all'est europa.

Ma penso altrettanto che ben pochi questa condotta di vita "estrema" l'hanno poi portata avanti fino in fondo dimostrando coi fatti che era insita nel loro dna, magari pagandola in vecchiaia (per chi c'è arrivato) tra miseria, alcolismo, aiutati da pubbliche sottoscrizioni degli amici, ecc. ... questi si che possono definirsi punk e naif nell'anima, dentro.

twight non so, non mi esprimo, so poco di lui se non attraverso suoi libri e suoi recensori.

credo sia capitato anche a voi di parlare con amici intimi, mogli o compagni abituali di cordata di personaggi molto noti, che ti fanno ricredere e riconsiderare (in positivo o in negativo) certe convinzioni che magari ti eri fatto da decenni, ma solo perchè mediate

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Messaggio Ven Mag 18, 2012 1:13 pm  Admin

Giuste considerazioni Exclamation
In effetti le mia domanda non vuole essere uno scavare nell'animo di Twight. Non vorrei e non potrei. Essendo comunque quello che conosciamo frutto di quello che lui ha descritto di sé, quindi, nella migliore delle ipotesi, la sua rappresentazione di sé. Che può anche corrispondere poco, a quella che è la figura che gli altri percepivano di lui.

Ma appunto, quanti alpinisti (ammesso che, per usare proprio il concetto di Twight, superino la curva di apprendimento) hanno un periodo sul filo del sociopatico (non uso questo termine come indicatore di valori, bensì per sottolinearne senza troppe parola la distanza dai canoni classici della normalità nella società) per poi rientrare nella vita borghese?

Perché altri invece non lo fanno e continuano a praticare alpinismo anche a livelli di punta, con una vita normale dietro le spalle, moglie e figli che li aspettano?
Sono schizofrenici questi o gli altri più monomaniacali?

E' un argomento che sento particolarmente vicino.

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Tengri

Messaggio Ven Mag 18, 2012 1:44 pm  Tengri

Certo che ripensare a kucukzca che puliva le ciminiere nella Polonia di quegli anni per poi farsi gli ottomila alla paghi 1 prendi 2 ti fa pensare a quanta dedizione, convinzione e motivazone servano in determinate condizioni per portar a termine i propri progetti. Nell'alpinismo come nella vita.

E nell'est europeo la cosa direi si sentiva molto di più che nell'Euro-America del decennio successivo. Quindi ... forse ... oggettivamente ... mettendo le cose a confronto la differenza è palese. La povertà di Twight non era forse nemmeno definibile tale a confronto con quella di kucukzca.

Riguardo agli alpinisti con famiglia ... l'idea che mi sono fatto leggendo qui e lì (quindi molto parziale) è che come per altre cose esistono diversi tipi caratteriali. Twight sembra rappresentare (vero o falso non lo so posso solo parlare sulla base di quello che so di lui e degli altri leggendo - quindi con i limiti evidenti dell'autorappresentazione) la tipologia dell'individualista estremo. pronto a sacrificare la socialità per raggiungere l'obiettivo. Altri invece riescono (per convenzione sociale anche?) a mettere insieme spazi di espressione dell'io con momenti in cui l'io ha bisogno di termini di paragone (la socialità) per non perdere l'equilibrio ... per avere punti di riferimento.

La telefonata di Rob Hall dalla cresta sommitale dell'Everest nel 96 alla moglie incinta mi sembra indicativa in tal senso.

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Messaggio Ven Mag 18, 2012 1:50 pm  Admin

Tengri ha scritto:Certo che ripensare a kucukzca che puliva le ciminiere nella Polonia di quegli anni per poi farsi gli ottomila alla paghi 1 prendi 2 ti fa pensare a quanta dedizione, convinzione e motivazone servano in determinate condizioni per portar a termine i propri progetti. Nell'alpinismo come nella vita.

E nell'est europeo la cosa direi si sentiva molto di più che nell'Euro-America del decennio successivo. Quindi ... forse ... oggettivamente ... mettendo le cose a confronto la differenza è palese. La povertà di Twight non era forse nemmeno definibile tale a confronto con quella di kucukzca.

Riguardo agli alpinisti con famiglia ... l'idea che mi sono fatto leggendo qui e lì (quindi molto parziale) è che come per altre cose esistono diversi tipi caratteriali. Twight sembra rappresentare (vero o falso non lo so posso solo parlare sulla base di quello che so di lui e degli altri leggendo - quindi con i limiti evidenti dell'autorappresentazione) la tipologia dell'individualista estremo. pronto a sacrificare la socialità per raggiungere l'obiettivo. Altri invece riescono (per convenzione sociale anche?) a mettere insieme spazi di espressione dell'io con momenti in cui l'io ha bisogno di termini di paragone (la socialità) per non perdere l'equilibrio ... per avere punti di riferimento.

La telefonata di Rob Hall dalla cresta sommitale dell'Everest nel 96 alla moglie incinta mi sembra indicativa in tal senso.


Tu dici che c'è chi per avventurarsi in certi luoghi ha bisogno di superare il punto di non ritorno, di tagliare i ponti, di slegarsi, (in senso metaforico anche se qui è anche nel senso letterale), mentre c'è chi ha bisogno di mantenere comunque un filo, un luogo in cui tornare (e da cui partire).
Insomma attitudini diverse.

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Tengri

Messaggio Ven Mag 18, 2012 3:31 pm  Tengri

Sì esatto. Sarebbe interessante capire se statisticamente quelli che decidono per la prima via .. quella "slegata" ... alla fine poi interrompono e rientrano nei ranghi. Condumano come il fuoco la loro passione e alla fine anche quella sparisce.

Mente invece quelli che trovano l'equilibrio "legandosi" alla fine continuano finchè ce la fanno.

Ovviamente nel caso in cui gli uni e gli altri sorpassino la curva di apprendimento e sopravvivano a sé stessi (sia nell'alpinismo che nella vita di tutti i giorni).

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Davide62

Messaggio Ven Mag 18, 2012 3:37 pm  Davide62

quando lessi " Confessioni di un serial climber" rimasi perplesso e ci misi un pò a metabolizzarlo.
Mi era parsa la storia sconclusionata di un ex punk in cerca di forti emozioni, ma non avevo capito niente.
L'ho riletto cercando di scacciare i miei pregiudizi e ho capito.
Mai dare giudizi "temerari" senza aver compreso quanto più possibile, alla fine appunto ho capito; ho capito attraverso Twight che c'è davvero chi ha bisogno di emozioni estreme per vivere.
Non si tratta di retorica o costruzione del personaggio, è davvero una grande e irrinunciabile esigenza.
Così com'è un'irrinunciabile esigenza salire con "pochi ferri sulla bandoliera".
Grazie a questo libro improvvisamente ho compreso anche tutti quelli che sono venuti prima di Twight, i soggetti come Simpson o tanti altri meno noti ma mossi dalle medesime pulsioni.
E ancora, mi è rimasto appicciato un messaggio condensabile in un unico termine: tenacia.
Bello e comunque inquietante.

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Giorgio Robino

Messaggio Ven Mag 18, 2012 3:43 pm  Giorgio Robino

Buzz ha scritto:
Ha risolto la sua rabbia, o l'ha incanalata altrove?
Sicuramente ha cambiato vita, ma è stato solo un cambio di ambiente o qualcosa di più?
Non conosco abbastanza bene la sua esistenza per capirlo.

nemmeno io so della sua vita recente. terra-terra mi verrebbe da dire che ha trovato una donna che lo ha amato (in riferimento ai racconti di Kiss or Kill...), o come hai detto già: ha fatto i conti con se stesso ed ha forse trovato pace...

mork ha scritto:Se leggi "Questo gioco di fantasmi" di Joe Simpson, vedrai che i racconti degli inverni passati a Chamonix non sono diversi da quelli di Twight (zero soldi, un paio di mutande per tutto l'inverno, in 10 in un monolocale), solo che non scrive "cazzo" o "merda" ogni tre parole.

Lascia stare il linguaggio, lascia stare lo stato sociale. Mi sembra invece che Twight e Simpson entrambi abbiano/ hanno sto abissale "tormento". Ma mentre Twight forse lo ha risolto (non so...), invece Simpson con l'età sembra averlo acceso questo nichilismo (mi ha colpito sua "dichiarazione di infelicità" in intervista ad una imbarazzata Kay Rush... di qualche anno fà in occasione dell'uscita del documentazio sull'Eiger... p.s. ho allora cercato invano la versione italiana del libro "Il richiamo del silenzio" http://www.intraisass.it/rec38.htm , ma sto libro è introvabilisssimo...nemmeno usato... possibile ?! on capisco se in Italia il "best seller" è andato a ruba oppure ne hanno venduto 4 copie e mai più ristampato ...bho)

mork ha scritto:I racconti delle salite in "Oltre la montagna" di Steve House non sono dissimili da quelli di Twight, solo che non scrive "cazzo" o "merda" ogni tre parole.

ebbene i due credo fossero ben amici ed hanno fatto un bel pò di salite insieme; nel Twight-manuale ci sono parecchie foto di Steve House... lui nelle foto è tutto bello preciso ed ordinato...
l'House non è Punk Wink (SCHERZO)

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Messaggio Ven Mag 18, 2012 3:53 pm  buzz

Io sono uno che va a fasi monomaniacali. Che quando si mette su una cosa taglia ogni ponte, si gioca tutto.
Ovviamente ero, così. Poi con l'età ho imparato... a frenare. E sono ancora così, ma molto di meno.
Non rinnego nulla di ciò che sono stato, anche se non me ne compiaccio.
Arrivavo così agli estremi che poi dovevo uscirne per sempre. Non potevo continuare a fare quello che facevo prima seppure in modo edulcorato. Non avrebbe avuto senso, per me. O tutto o niente.

Poi ho imparato dicevo. Che le strade se anche corri a testa bassa non portano lo stesso da nessuna parte. E allora tanto vale.

Per questo sono incuriosito dalla storia di M. Twight, perlomeno quella apparente. La sento vicina. Anche se in una vita completamente diversa dalla mia.

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gug

Messaggio Ven Mag 18, 2012 5:23 pm  gug

C'è quel suo racconto in cui parla dell'alpinist-arrampicatore che ha messo la testa a posto ed è diventato un "guerriero del weekend" che è favoloso: chissà se si è ritrovato ora in quella situazione

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