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Bertrand e Andrea Di Donato su Divine Providence

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Messaggio  buzz Lun Ago 05, 2013 9:17 am

La salita di Divine Providence in libera e a vista (anche se solo 7b+ come difficoltà max) rappresenta ancora una piccola notizia.
E' una via complessa, per l'ambiente, l'avvicinamento, la lunghezza, la quota, l'uscita.
Tanto di cappello alla fortissima coppia che ogni tanto imperversa sul paretone del gran sasso.
Very Happy 



Bertrand e Andrea Di Donato su Divine Providence Mont_Blanc_de_Courmayeur_from_Punta_Helbronner%2C_2010_July_3
Lo "scudo rosso" sul Grand Pilier D'Angle dove passa la via di  Gabarrou e Marsigny.



Bertrand e Andrea Di Donato su Divine Providence 800px-Peuterey_ridge_with_labels

La cresta di Peuterey, dove sbuca la via, obbligando poi alla salita della parte conclusiva della cresta, fino alla cima del
Monte Bianco e discesa poi per altra via.


L'articolo di Luca Signorelli su Divine Providence per Up-Climbing http://www.up-climbing.com/it/articoli/alpinismo/divine-providence

Luca Signorelli ha scritto:
La via più difficile sulla montagna più alta? Il Monte Bianco non è solo la cima più elevata delle Alpi (e dell’intera Europa continentale), ma è anche di gran lunga la più complessa. Ognuna delle sue quattro “facce” sono montagne a se stanti, per caratteristiche fisiche, logistica, meteorologia e identità. E se l’affollatissimo (e un po’ anonimo) versante francese è quello più fotografato e conosciuto nel mondo, per via della presenza delle vie normali (e del suo essere visibile da Chamonix) , non ci sono molti dubbi che per l’alpinista con un minimo di ambizioni, il climber e lo scalatore su ghiaccio “andare sul Bianco” significa affrontare una delle centinaia di vie che salgono le tre faccie della parte italiana di questa meravigliosa montagna: la muraglia del Miage (talmente enorme che è perfino difficile comprenderne le dimensioni), i piloni e i couloir del versante Brouillard/Freney, e la parete della Brenva.
Brenva, un nome il cui suono riassume l’aspetto quasi himalayano di questa parete. Nelle Alpi ci sono muraglie ghiacciate più grandi (lo stesso Miage potrebbe contenerne comodamente due!), ma poche sono così minacciose e allettanti come questa architettura di seracchi e di nervature rocciose. E se il trittico di vie (Sentinella Rossa, Major, Pera) aperte nel primo dopoguerra da T.G. Brown e soci è quello che di certo merita la nomea di “classico”, le mutate condizioni glaciali e i cambiamenti tecnici vissuti dall’alpinismo moderno hanno sempre più spinto l’attenzione verso il Gran Pilier D’Angle (o “Eckpfeiler”), l’enorme bastione roccioso che fa bella mostra di sé all’angolo fra la parete della Brenva e la cresta di Peuterey.
È veramente una montagna nella montagna: novecento metri di altezza al culmine, e una base che misurata in tutta la sua larghezza eccede il chilometro. Ha tre versanti – quello Nord, dominato da un seracco e coperto da una ragnatela di vie di ghiaccio tutte molto impegnative, quello Sud Est, assai instabile in quanto generato in tempi relativamente recenti (1929!) da una colossale frana, ed in mezzo la parete Est, con al culmine un’enorme placca incurvata di protogino rossastro. E’ lo “scudo rosso“, il luogo forse più difficilmente accessibile dell’intero Bianco. Qui, fra il 5 e l’8 luglio 1984, è stata aperta da Francois Marsigny e Patrick Gabarrou Divine Providence - considerata da molti, a torto o ragione, la via più difficile per salire il “Monarca delle Alpi”.
Il mito di Divine Providence è fatto di sfaccettature. Una di queste, sono le circostanze della prima salita: Gabarrou e Marsigny (due “soliti noti” del circo chamoniardo, allora poco conosciuti dal grande pubblico) rimasero in parete quasi quattro giorni. Tempi (in estate) insoliti anche per una grande montagna come il Bianco, che creavano un involontario rimando alle “supervie” della parte Nord delle Jorasses. Durante la salita, si verifica un incidente che sfiora la tragedia. Mentre Gabarrou sta risalendo con le Jumar una corda nel punto chiave (un diedro strapiombante allora classificato A3), un friend cede. Entrambi rimangono appesi – per miracolo - ad un altro, unico friend rimasto incastrato nella fessura che taglia il fondo del diedro. Gabarrou (che non smentisce la sua nota devozione religiosa) ha già pronto un nome appropriato per la via. Appunto, “Divine Providence”.
Ma è davvero la via più difficile per salire il Bianco? Le difficoltà sullo “scudo rosso” (lunghi tratti in A2/A3) sono certo impressionanti, ancor di più se messe in relazione con qualsiasi altro 4000 alpino (escluso forse il “naso” di Zmutt sul Cervino – e, sicuramente , le Jorasses). Ma quello che rende la salita immediatamente mitizzabile è il contorno. L’accesso è lungo (3 ore come minimo dal bivacco della Fourche, esso stesso a 2 ore e 30 dal Rifugio Torino) e pericoloso: la traversata sotto i seracchi della “Pera” e della parete nord del Pilier garantiscono adrenalina molto alta ancor prima di aver affrontato le difficoltà principali. Per arrivare allo “scudo” bisogna salire 400 metri di V grado piuttosto esposto e ingaggioso. Uscire non è meno problematico: una volta in cima al Pilier, non c’è la scorciatoia di una doppia fino alla base (chiave di volta della banalizzazione di tante vie nel massiccio), ma l’obbligo di salire fino in cima al Monte Bianco di Courmayeur per la cresta di Peuterey. Entusiasmante in condizioni favorevoli, diventa una vera emergenza se il tempo volge al brutto, o se le condizioni fisiche non sono ottimali.
È una salita di quelle che costringono a essere onesti con se stessi e con l’ambiente circostante. Forse per questo, “tira” poco. Siamo nel 1984, e la Chamonix “da bere” sta per entrare nel suo momento culminante. Le salite in quota, e che richiedono molti bivacchi, non piacciono se non sono estetiche, di facile accesso, dalle difficoltà ben definite, e, soprattutto, in libera. I giornali specializzati francesi (e di li a poco anche quelli italiani) vogliono a tutti i costi seguire l’onda lunga del tutto e subito. Nel frattempo Il Bianco (anche grazie al cancan intorno al bicentenario della salita di Balmat e Paccard) sta diventando montagna mediatizzata a tutti i costi. Se a qualcosa non si può attaccare un superlativo, difficilmente vende, e quindi si fa come se non esistesse
Ma qui il superlativo è indiscutibile. Divine Providence è una via durissima da qualunque parte la si guardi. Soprattutto (potenza dello sciovinismo!) la stampa locale nota che è una via aperta da guide di Chamonix, non dai soliti slavi (che, incuranti dei dettami giornalistici allora imperanti, stanno facendo il diavolo a quattro più o meno in tutto il massiccio), oppure dello sparuto manipolo italiano (Giancarlo Grassi e Ugo Manera in testa), che continua a esplorare il versante italiano alla ricerca di vie ed emozioni nuove. Divine Providence è sulla bocca di molti, ma nessuno osa o vuole tentarne la ripetizione.
Questa arriva dopo ben 5 anni, nel 1989, quando Michel Fauquet, Pierre Rhem, David Ravanel e Jerome Ruby ripetono la via in tre giorni, confermandone (quasi stupiti, verrebbe da dire) la durezza e la bellezza. Ma l’anno della verità è il 1990, quando, nel giro di un mese, la via viene ripetuta ‘quasi’ in libera da Thierry “Turbo” Renault e Alain Ghersen, in due giorni con solo tre punti di artif sul bagnatissimo tetto sommitale, e poi in solitaria, sempre in due giorni, da Jean Christophe Lafaille.
È la salita di Renault e Ghersen che consacra veramente Divine Providence come “via più dura del Bianco”. Sia “Turbo” Renault che Ghersen sono eccellenti all-rounders (anche se nel 1990 il termine non esisteva!) e conosciuti nel giro come gente con i piedi per terra. La descrizione che Thierry fa della via sulle riviste specializzate di mezzo mondo lascia di stucco - il diedro strapiombante è classificato 7c, e la via, nel suo complesso, è più dura della direttissima americana al Dru – ma a quattromila metri! Non c’è nulla di simile nel resto delle Alpi – e il mondo alpinistico (che sta uscendo pian piano dalla sbronza dello “sportivo” a tutti i costi e punta di nuovo gli occhi verso l'alto), guarda il Pilier D’Angle come non faceva dalla fine degli anni settanta.
Il secondo tentativo di liberare completamente la via è del 1991, quando Andy Cave (un nome molto amato dell’alpinismo britannico, ma poco conosciuto qui in Italia) e Paul Jenkinson salgono la via in due giorni, usando quattro chiodi di progressione, questa volta nel diedro da A3/7c. Il tetto che aveva creato problemi a Renault e Ghersen (che stavolta era asciutto) fu superato in libera e valutato 7a.

La prima invernale, nel 1992, è degli italiani Bressan, Occhi e Tamagnini (Paolo è un affezionato della zona, sua una variante alla Doufur-Frehel della parete Nord), ma il maltempo li costringe a una complessa discesa dalla cima del PdA. L’estate precedente c’era stata la prima salita italiana (e quinta assoluta) a cura di due cordate che salgono assieme: le guide di Courmayeur Giovanni Bassanini, Valerio Folco e Pierino Rey in una, e Luciano Barbieri e Marcello Ricotti nell’altra.

La prima invernale fino alla sommità arriva nel 1993, ed è un episodio dal sapore epico. Ne sono autori e Dave Willis e il bravissimo (e compianto) Brendan Murphy. Quest’ultimo è un irlandese dalla calma leggendaria, che morirà nel 1997 travolto da una valanga scendendo dal Changabang, dopo avervi aperto una via sulla tetra parete nord, per una coincidenza in compagnia del summenzionato Andy Cave. Dave e Brendan passano cinque giorni in parete, lottando con condizioni ambientali assolutamente atroci. Lo scudo da solo prende quasi tre giorni! E, come al solito, nonostante tutto, il raccondo che i due producono è un capolavoro di ironia e understatement britannico, che solo a tratti fa intravvedere l’enorme sforzo sostenuto per arrivare vivi in cima al Bianco.
E sempre nel 1993 ecco l’inevitabile prima solitaria invernale, a cura del “solito” Alain Ghersen, che è anche il primo a piantare uno spit sulla via Per qualche anno Divine Providence entra in una specie di limbo. Viene salita con una certa regolarità, e continua a essere “la via più difficile del Bianco” (anche se qualcuno sostiene che l’Hypergoulotte del Brouillard, se si continua fino in vetta, forse meriterebbe quel titolo). Ma i termini fondamentali non cambiano: una salita così sostenuta a quattromila metri nelle Alpi la trovi solo qui.
E poi, finalmente, ecco la libera integrale. Il 27 e 28 luglio 2002, le guide svizzere Denis Burdet e Nicolas Zambetti (Burdett è un esperto di big wall), salgono Divine Providence in libera, senza resting – e con tutti i tiri a vista. Un exploit notevole (anche se forse passa un po’ sotto silenzio), che in parte rilancia il mito della via. Quasi in risposta, in due giorni di agosto nella orribilmente calda estate del 2003, due sloveni, Andrej Grmovsek e Marko Lukic approfittano delle condizioni di incredibile "secchezza" di quell'anno (ma trovano di nuovo bagnato il diedro strapiombante!). L'intera via viene di nuovo salita a vista e senza resting se non alle soste, ma Lukic (un climber che in questi anni ha fatto parlare di sé per le sue straordinarie ripetizioni in libera di molti itinerari artificiali estremi, di solito usando le protezioni originali), gioca, come spesso capita, al ribasso. Secondo lui solo i 350 metri dello scudo sono interessanti dal punto di visto di uno scalatore di alto livello, e la valutazione 7c per il diedro strapiombante probabilmente non sarebbe tale se il tiro fosse in una falesia (frase che sarebbe piaciuta a monsieur De La Palisse). Degrada quindi il tiro a 7b, con buona pace dei suoi predecessori.
Nel 2006, Divine Providence è sempre la via più difficile del Bianco? Sono valutazioni difficili da fare, e forse lasciano il tempo che trovano, non fossimo tanto ossessionati da classifiche e valutazioni numeriche. L’attuale moda del misto estremo (e la riscoperta dei grandi itinerari delle Jorasses, ambientalmente meno ostili di questa via, ma certamente più sostenuti nella loro lunghezza) ne hanno un po’ offuscato la leggenda. Ma il Pilier D’Angle non si è certo abbassato, l’accesso non è diventato meno lungo, l’uscita sulla cresta di Peuterey meno delicata, e lo “scudo rosso” meno strapiombante. Pochi si confrontano con le vie di questo angolo del Bianco, ed è sempre bello pensare che il vecchio Monarca delle Alpi ha ancora sogni (e incubi) con cui continuare a tormentare le notti di qualcuno...


Le foto dall'album di Andrea Di Donato su FB
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Messaggio  medioverme Lun Ago 05, 2013 10:05 am

E poi, finalmente, ecco la libera integrale. Il 27 e 28 luglio 2002, le guide svizzere Denis Burdet e Nicolas Zambetti (Burdett è un esperto di big wall), salgono Divine Providence in libera, senza resting – e con tutti i tiri a vista."


Certo che salire le vie in libera e senza resting non è da tutti. (Anche se con Resting il diedro sarebbe almeno 8a)   asd
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Messaggio  Silvio Lun Ago 05, 2013 10:13 am

medioverme ha scritto:E poi, finalmente, ecco la libera integrale. Il 27 e 28 luglio 2002, le guide svizzere Denis Burdet e Nicolas Zambetti (Burdett è un esperto di big wall), salgono Divine Providence in libera, senza resting – e con tutti i tiri a vista."


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Messaggio  medioverme Lun Ago 05, 2013 10:40 am

Silvio ha scritto:
medioverme ha scritto:E poi, finalmente, ecco la libera integrale. Il 27 e 28 luglio 2002, le guide svizzere Denis Burdet e Nicolas Zambetti (Burdett è un esperto di big wall), salgono Divine Providence in libera, senza resting – e con tutti i tiri a vista."


Certo che salire le vie in libera e senza resting non è da tutti. (Anche se con Resting il diedro sarebbe almeno 8a)   asd

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Messaggio  Flow Lun Ago 05, 2013 11:17 am

Complimenti a Bertrand e ad Andrea per questa grande salita!
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Messaggio  medioverme Mar Ago 06, 2013 9:26 am

cann Comunque ci sono belle possibilità di vie nuove: su quelle belle placche di granito liscio , co du-tre (mila) botte de trapano, ce esce un vione de 9a in ambiente de 4000 metri!
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Messaggio  soremilio Mar Ago 06, 2013 2:13 pm

Chapeau!
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Messaggio  buzz Mer Ago 07, 2013 2:05 pm

Andrea Di Donato su http://www.wildworld.it/index.php?option=com_content&view=article&id=172%3Adivine-providence&catid=60%3A2013&Itemid=61

Divine Providence

Una grande avventura, non c'è che dire.

Si, ma certo, facciamo qualcosa prima ... e che sei matto, non vorrai mica buttarti sul Pilier d'Angle direttamente da Roma, con un solo Velino sulle spalle!! Naturalmente se poi arriva la finestra buona dobbiamo andare subito.
Naturalmente la finestra arriva subito e partiamo. Io ho due mesi di monte Bianco sulle spalle, Bertrand un Velino. Ma lui è un Gallo, lui ha fibra, lui scalava sui blocchi di Fontainebleau con Alain Ghersen quando aveva 14 anni. E le storie si intrecciano, le storie di chi ha fatto la storia. E già, perchè il mitico Alain Ghersen, nel 1990, ha salito per la prima volta quasi tutta in libera, la mitica Divine (un po di storia), e nel 2002 ha effettuato la prima solitaria invernale. Ora sono io che incontro spesso Alain alla compagnia delle guide qui a Chamonix, ...Salut, Ca va?!

Un sogno, un sogno questa Divine, la Perla di Gabarrou e Marsigny..... e le storie si intrecciano di nuovo: Gabarrou al Tete Rousse mi regala una rivista con le vie dell'Argentera, e poi lavoro con Christian Appertet, una guida di Annecy, che aveva aperto con Gabarrou una via sulla punta Margherita alle Jorasses. Gli parlo del mio progetto... questo è il mio ultimo Bianco, poi dieci giorni off, vogliamo scalare Divine P....
bien bien!! ... il giorno dopo mi porta un leggerissimo sacco da bivacco per due.... non l'ha mai utilizzato, ma è molto simile a quello che hanno usato con Patrick sulle Jorasses. E' ricavato da una vela del parapendio.
Il Gran Pilier d'Angle sarà più meno come la Farfalla Bertrà!!  nel senso che prima o poi vomiterai!!!ahahaha...   diciamo che in teoria più o meno i conti tornano a parte il fatto che è tutto un po' più sostenuto, più fisico, più psico, più senza spit, più duemilametri traslata verso il cielo.

Valanghe strepitose ai piedi del Pilier d'Angle. Di colpo immersi nella storia, i due piccoli uomini si fermano e ascoltano. La Brenva, la Major, Sentinella Rossa, la Pera... the Wild Side!! Finalmente al col Moore.
Una felice intuizione di Bert, ci porta, dopo un tirello i corda, a bivaccare su una molto comoda cengia. Il francese emozionatissimo, parlerà tutta la notte... una delle poche notti all'addiaccio in cui la temperatura mite mi avrebbe permesso di dormire...

Compriamo una corna singola nuova di pacca... ma quanta ne compriamo, 50 o 60 metri?... alla fine decidiamo: 55!
La mattina ci svegliamo, pronti per partire e con grande amarezza scopriamo che un punto della corda è fottuto! perdiamo circa 8 metri...= 47m left ... forse facendo le doppie del col Moore?... bo... di sicuro la notizia renderà la nostra arrampicata molto cauta.

Saliamo lo zoccolo abbastanza veloci, l'arrampicata non è mai troppo difficile, ma la roccia non troppo buona e gli zaini non troppo leggeri, rendono la "cosa" non proprio rapida. Comunque, dopo sei ore circa siamo sotto lo scudo arancione! Da qui, modalità bigwall e sacchi al traino!! si scala leggeri!
Ora un poetico sacrificio mi fa prendere, col senno di poi, la decisione più importante. So che lui può farcela, perchè è un cazzo di fuoriclasse geneticamente modificato, perchè ha le mani grandi e uno sterno da gorilla, e le sue braccia sono lunghe come le mie anche essendo più basso. Guardo il primo tiro duro, che mi sarebbe toccato, e già mi vedo appeso a un chiodo o ad aiutarmi su un microfriend!

No,,, vai tu,,, vai tu che sei un poeta della roccia, vai tu che puoi realizzare il sogno!!! .. e lui va, non deciso come entrambi pensavamo, ma tentenna, riflette, ma alla fine lo incatena, a vista...
ma se questo era il più facile poi che cazzo faccio lui dice!!.... dovevi solo entrarci dentro Bert, ora sei caldo!
Un bel tirone da alpinisti classici mi porta alla base del grande diedro. Recupero Bert. Siamo nel cuore della via.  Ancora un tiro duro per lui, in catena, a vista. Siamo sotto al tiro chiave, appesi in una scomoda nicchia, sotto una vertiginosa fessura strapiombante, un pò bagnata, dall'aria inizialmente non proprio solida!

Ora il francese dice cose e poi farà le cose che disse!! Ci metto tutto in sto tiro, tutto, quarant'anni di scalata!!! Un altra persona attacca il tiro, non più l'arrampicatore riflessivo delle volte precedenti, ma un essere determinato e fiero che salta chiodi e si spara i piedi in bocca, ma un piede scivola su tratto un bagnato, e mette un ultimo friend finchè la fessura diventa buona ma tremendamente fisica ed un gran run-out lo porta fino al blocco incastrato che ti salva il culo!! uau!!!.... che botta ragazzi, che emozione!!! ... arrivo in sosta, con le braccia gonfie e continuo a ripetere: tu non sei normale!! tu non sei normale... e siamo felici!!... ancora un paio di tiri da alpinista classico e poi il tetto stronzissimo che il francese supera in scioltezza con gli ultimi residui di energia esplosiva!!

14 ore di scalata dopo.. bivacco, vista meravigliosa sul Bianco... tre di notte, partenza, nella nebbia, stanchi, lenti, ma sicuri.... alba, Peuterey, lunghissima, piacevolmente tracciata... scopriremo poi dal grande Profit!! Bertrand è alla frutta, io sono davvero molto stanco, scopro con dolore che i Bianchi non ti allenano, ma almeno sono acclimatato! Vento e nebbia!! non si vede la fine, Bert mi chiede quanto manca, come i bambini, io rispondo sempre che siamo quasi arrivati ma non ne ho idea, non si vede che nebbia in alto. MontBlanc de Courmayeur, Bert vede la cima del sommo Bozzo e vomita per l'emozione! che eroe!!!! che mito!!! Divine Providence in libera e a vista!!... ma dimmi tu!!

Bertrand Lemaire, escaladeur de reve!!
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Messaggio  Flow Mer Ago 07, 2013 3:32 pm

E' emozionante leggere il racconto di questa scalata. Grazie ragazzi! respkt
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Messaggio  buzz Mer Ago 07, 2013 3:39 pm

bert è veramente un alieno Smile
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Messaggio  medioverme Mer Ago 07, 2013 10:06 pm

E' forte, altroché se è forte, ma mica stava a ciampino a ora de pranzo oggi, allora si che era alieno.
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Messaggio  buzz Gio Ago 08, 2013 9:23 am

perché Shocked

oggi stavamo na favola...

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