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Gurla Mandhata: il ritorno dei Samurai

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270412

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Il ritorno dei Samurai

di Lindsay Griffin

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Lo scorso autunno gli alpinisti giapponesi Kazuya Hiraide e Kei Taniguchi hanno fatto in stile alpino la traversata da sud a nord del Gurla Mandhata (Naimona'nyi, 7694 m), la terza montagna più alta del Tibet, situata vicino al sacro monte Kailash nel lontano ovest. La loro salita della cresta sud-ovest e dell’ancora inviolata cima sud, il Naofeng Peak 7422 m, ha finalmente completato un progetto storico, tentato più di un secolo con un incredibile approccio in stile alpino da un leggendario team italo inglese.



Obiettivo originale di Hiraide e Taniguchi è l'imponente parete sud est ma il loro primo problema è trovare un percorso da sud, mai esplorato in precedenza da nessun alpinista. Le mappe mostrano una possibilità da Ronggo Gully, ma ci vuole del tempo prima che una guida locale schiuda loro un accesso. Si aggiunge poi la difficoltà di trovare dei cavalli per il trasporto di tutto il materiale fino al campo base a 4.700 m, ancora ad una distanza considerevole dal loro obiettivo. Dopo diversi giorni spesi ad osservare la parete e acclimatarsi, i due trovano solo una linea sulla parete che sembra sicura ma il bel tempo fa sì che una volta pronti la parete sia già asciutta, scaricando di frequente rocce e ghiaccio. Nonostante ciò i due riescono a salire fino ad una di quota di 6.300 m prima che il pericolo diventi tanto grande da farli fuggire delusi.

Dopo un periodo di riposo al campo base, i due giapponesi attraversando tutta la parete est trovano un percorso inesplorato verso la valle che genera la cresta sud ovest. Il terzo giorno raggiunta la cresta la seguono fino a intersecare il crinale di sud est. Ancora due campi e, doppiato il Naofeng Peak, sono in vetta. Bivaccano ancora in quello che è il V campo del percorso originario da nord ovest e scendono nel ghiacciaio Chaglung'm lungha. Trovano non poche difficoltà nell’attraversare un labirinto di enormi seracchi, tanto da dover attrezzare più calate in corda doppia.

Ma torniamo al 1905 e ad un uomo in generale considerato il pioniere dell'alpinismo ‘leggero’ in Himalaya.
Educato a Eton al Christ Church College Oxford, Tom Longstaff (1875 - 1964) era un medico qualificato anche se, proveniente da una famiglia benestante, non avrebbe mai avuto bisogno di guadagnarsi la vita con questa o qualsiasi altra professione. Divenne uno degli esploratori e alpinisti più noti della sua epoca. Anche rapportato alla leggendaria prestanza fisica degli alpinisti di quegli anni, l’esile Longstaff era particolarmente noto per la sua resistenza.

Ha l’opportunità di accompagnare un funzionario britannico in visita al Tibet insieme alle guide italiane Alexis ed Henri Brocherel e quindi di raggiungere il Gurla Mandhata dalle regioni dell’India nord orientale. Sono abbastanza bene acclimatati, avendo avuto la possibilità di essere i primi uomini a vedere il Nanda Devi Sanctuary, attraverso quello che successivamente verrà nominato Longstaff’s Col.
La squadra tenta subito la cresta sud-ovest della montagna e salgono fino ad una punta quotata 6320 m. Da lì si rendono conto che la cresta diventa impossibile e si ritirano con l’intenzione di salire la cresta ovest, ora completamente visibile alla loro sinistra, al di là del Ringgong Glacier.

Dopo il consueto approvvigionamento di viveri, arruolano cinque portatori per allestire un campo appena più sotto i 5800 m. Il giorno dopo, sottovalutando completamente quanto li attendeva, lasciano le tende, i sacchi a pelo e fucili (!) e prendono con facilità la cresta, probabilmente in prossimità della punta 6.851 m. La via da seguire è semplice ma è molto lunga e continuare significherebbe trovarsi a dover bivaccare molto esposti sulla cresta, probabilmente ad una quota di circa 7.300 m. Sul fianco sud notano uno sperone roccioso dove decidono di scendere per allestire il campo sperando di poter trascorrere una comoda notte. Ma appena dopo pochi metri Longstaff ricorda: “proprio mentre stavo girando per recuperare la corda che mi legava ad Henri, udii il suo grido d'allarme e un sibilo - shshshshsh - come l'ondata su una spiaggia liscia, ma ben più minacciosa. La massa di neve mi travolse gettandomi disteso in movimento verso il basso”. Cavalcando l'onda e saltando molte rocce, i tre vengono trascinati per quasi 1000 m. sul ghiacciaio Ringgong ma incredibilmente si ritrovano illesi. Longstaff ricorda: “fui costretto a tagliare la corda…i nodi erano come marmo e anche anche per alleviare la pressione intorno al petto. Chiamai Alexis, che in un tono risentito rispose, 'Perché? Non si taglia la corda? '. Sapeva che era costata 100 franchi e per molto tempo non perdonò il mio spreco '. Le due guide, senza alcuna preoccupazione, si arrampicano lungo il pendio per recuperare le tre piccozze perdute durante la caduta. Poi, tutti seduti con le gambe dentro gli zaini, passano lì la notte.

Ma gli esploratori del 20esimo secolo è gente dura. Il mattino seguente iniziano a salire sul ghiacciaio: “Dopo aver fatto tanto ci sembrava assurdo lasciare la mano”. Fanno ancora un bivacco a circa 7000m. e quando il freddo si fa insopportabile ripartono verso la cima. Alle 4:00 Longstaff è così infreddolito che non riesce nemmeno in un altro passo. Henri Brocherel invece sta bene e vorrebbe proseguire fino alla vetta, stimata a meno di 300 m. di dislivello. Ma la ritirata è inevitabile e i tre scendono a valle direttamente attraverso il ghiacciaio, sperando di trovare altri membri della spedizione. Invece il campo base è deserto e anche dei viveri non c’è traccia. Cercano una via di uscita verso nord ma devono ritornare nello stesso posto per una seconda notte dove fortunatamente trovano un pastore tibetano con il quale dividono il primo lauto pasto, una pecora. Ora le due guide si sentono molto meglio. Il giorno dopo risalgono la montagna per recuperare le tende in quota. Non sarà una sorpresa sapere che solo due anni dopo Longstaff e i Brocherel realizzeranno la salita in 10 ore da un campo a 5300 m sul ghiacciaio fino alla cima del Trisul (7120 m), facendo così la prima salita della montagna più alta mai salita dall'uomo e la prima di una montagna di più di 7000 m. Rispetto agli standard di oggi, entrambe le salite potrebbero essere considerate 'camminare in alta quota', ma al tempo erano veramente all'avanguardia.

Il Gurla Mandhata rimane inesplorato fino al 1936, quando l'alpinista austriaco Herbert Tichy, travestito da pellegrino indiano in visita al Kailash, con un portatore indiano fa il primo clandestino tentativo raggiungendo il campo 7, per ritirarsi poi a causa del maltempo. Diciotto anni più tardi Tichy farà la prima salita del Cho Oyu.

Invece la prima salita di questo gigante deve attendere fino al 1985, quando una grande spedizione cino-giapponese, con Katsutoshi Hirabayashi come leader, installa una serie di campi fino al colle nord ovest e da lì 13 membri della spedizione salgono in vetta. A parte una salita giapponese in stile alpino della cresta nord nel 2000, fino allo scorso anno le poche salite successive sono state tutte effettuate sul percorso originale. Hiraide e Taniguchi hanno fatto la terza nuova via e forse solo la settima salita completa della montagna.

Gurla Mandhata: il ritorno dei Samurai Gurla-11
la vergine parete est della montagna!!!

I due giapponesi sono rispettati come dei fuoriclasse. Nell'estate del 2004 hanno fatto la prima salita dello sperone nord ovest dello Spantik utilizzando in discesa la via di Mick Fowler e Victor Saunders dopo la loro storica salita del Golden Pillar. Nel 2005 i due si cimentano, naturalmente in alpine-style[/i,] nella seconda salita della cresta est del Muztagh Ata (7.546 m) dal campo base avanzato a4500 m., attraversano la montagna e scendono per la via normale. In India fanno una via parzialmente nuova sulla parete nord e nord ovest dello Shivling. Entrambi subiscono gravi congelamenti ai piedi con la perdita di dita.
Coronano la loro grande attività con il prestigioso premio ai Piolet d'Or: [i]"Best of 2008, alpine style First ascent of Kamet’s SE face, by Kazuya Hiraide and Kei Taniguchi. Award to the Spirit of Exploration"


Dopo di allora hanno preso strade diverse, cimentandosi sulle cime degli 8000 m.
Hiraide ha salito Broad Peak e Gasherbrum II mentre Taniguchi ha raggiunto la vetta dell'Everest e del Manaslu.

(continua)

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Messaggio Ven Apr 27, 2012 4:36 pm  Admin

bella storia.
very impressive la salita angloitaliana. non la conoscevo.

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Messaggio Ven Apr 27, 2012 4:39 pm  Ospite

Ad_buzz ha scritto:bella storia.
very impressive la salita angloitaliana. non la conoscevo.
nemmeno io... veramente dei duri, gli alpinisti dell'epoca.

Impressionante è anche la vergine parete est di questa montagna ciclopica... un'idea per gente tosta!!! Very Happy

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