canal di Cuna
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canal di Cuna
Son tornato in canal di Cuna , son passati due anni esatti da l' ultima volta , era prima dell' incidente ...... come da tradizione ogni primo maggio da trenta anni circa gli abitanti della val Tramontina e della val d' Arzino ( e non solo ) si incontrano in val di Cuna per ricordare i tempi passati quando questa vallata ora abbandonata vedeva qui svolgersi le vita di uomini e donne " incredibili" per resistenza alla fatica e nell ' isolamento piu completo. Due anni fa ero salito dal versate della val d' Arzino , da S Francesco e poi avevo concluso la giornata con il giro della selvaggia e bellissima forra del torrente Comugna , questa volta la meta è la località di San Vincenzo ora si raggiunge con un oretta di cammino ma sino a qualche decennio fa ci volevano almeno tre ore di buon passo dal paese ( e dalla strada ) piu vicina , ai nostri giorni non è facile riuscire a concepire come queste persone siano riuscite a vivere per un paio di secoli in questi luoghi isolati
Mi è piaciuto la giornata , il luogo, le atmosfere.......................e procede l' allenamento
Mi è piaciuto la giornata , il luogo, le atmosfere.......................e procede l' allenamento
Ultima modifica di Adriano il Mar Mag 01, 2012 8:45 pm - modificato 1 volta.
Adriano- Messaggi : 602
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Re: canal di Cuna
..io sono stato a marzo alle stalle Menegon e Lorenzini e sul Rovoleit...
faust- Messaggi : 128
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Re: canal di Cuna
faust ha scritto:
..io sono stato a marzo alle stalle Menegon e Lorenzini e sul Rovoleit...
Mi sa tanto che quelli si che erano dei gran Greppisti.
Adriano- Messaggi : 602
Data d'iscrizione : 12.03.12
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Re: canal di Cuna
Adriano ha scritto:...ai nostri giorni non è facile riuscire a concepire come queste persone siano riuscite a vivere per un paio di secoli in questi luoghi isolati
E hai ragione. Abbiamo un punto di vista completamente diverso da quei tempi là. Bisogna pensare che allora si muovevano a piedi e quelli che emigravano, gli uomini, prendevano il treno Udine o la nave a Venezia; già recarsi in queste città era un viaggio non da poco. Diciamo pure che le donne nascevano e morivano senza aver mai visto niente altro che la propria valle. Ma poi che bisogno c'era di uscire dalla valle? C'era tutto ciò di cui si aveva bisogno, cioè il cibo che con l'agricoltura e la pastorizia si produceva; si usava il baratto per acquistare cibi non producibili direttamente (zucchero, farina da polenta, vino). Con i denari dell'emigrazione si compravano tessuti e poche altre cose indispensabili: ecco questa è la parola che ci può far comprendere quel tipo di esistenza: si aveva l'indispensabile: per noi abituati a tutto quell'inutile di cui ci circondiamo, risulta difficile capire che cosa sia l'indispensabile: ecco perché hai ragione a dire che ci è difficile comprendere.
Quando si parla di queste cose, oltre la meraviglia si ha anche un poca di assurda nostalgia di quei tempi, che mai abbiamo vissuto; è un sentimento che nasce per la noia e le contraddizioni del nostro vivere: che bello sarebbe tornare contadini e pastori senza altro pensiero che sopravvivere!
O forse no?
Re: canal di Cuna
Non lo so Gongo, sinceramente, per rispondere al tuo interrogativo finale.
In parte condivido quello che hai scritto. Da un po' di tempo a questa parte mi muovo anch'io in montagna soprattutto alla ricerca delle tracce, delle testimonianze, della memoria delle generazioni di montanari che ci hanno preceduto.
Attraverso dominazioni diverse, guerre, epidemie, catastrofi naturali. E queste popolazioni, uomini e donne, hanno ricominciato sempre daccapo, dura fibra come quella dell'ambiente che li circonda. Da te, in Friuli, come qui da me in Veneto, Alto vicentino e bellunese che sono le zone che conosco meglio.
Gente resistente mi verrebbe da dire, di nome e di fatto, pensando anche al contributo in termini di appoggio ai partigiani e di sangue che hanno pagato nell'ultimo conflitto mondiale.
Eppure... eppure c'è un grosso interrogativo. Come un minimo di benessere si è infiltrato nelle pianure ai piedi di queste montagne, questa gente ha abbandonato di getto la montagna. Nel giro di un generazione sola, o anche meno.
Perchè forse la vita era veramente troppo dura, difficile. Era miseria quella che vivevano, miseria nera. Fame. E dal punto di vista culturale, quanta ignoranza, quanto bigottismo in quelle piccole comunità isolate dal mondo. Che nel frattempo, nel bene e nel male, stava vorticosamente mutando. Forse esagero, forse no, sono i due lati della stessa medaglia?
Girando un po' in montagna alla ricerca di queste tracce, mi accorgo di come l'ambiente naturale sia stato pesantemente sfruttato in ogni sua più piccola risorsa. E quando non ce l'hanno più fatta, la valvola di sfogo dell'emigrazione è stata la salvezza per intere comunità. Ma prima di partire non si può dire non abbiano intrapreso ogni più immane sforzo per riuscire a spremere un minimo di sostentamento dalla montagna.
Terrazzamenti ciclopici in luoghi impervi, malghette e casere negli angoli più inaccessibili, sfruttamento del bosco in versanti sempre più scomodi, sfalci in prati ai limiti degli abissi (come dalle parti di La Valle Agordina, sul Valaràz, andare a vedere per credere). Ogni volta che vedo cose di questo genere mi chiedo quale razza di uomini ci abbia preceduto. Antropologicamente diversi, forse anche geneticamente. Un' altra cosa rispetto a noi.
Eppure, e mi ripeto, in tutto questo non vedo niente di così romantico, nessun mito del buon selvaggio, nessun equilibrio tra l'uomo e l'ambiente. Tutt'altro anzi. Ma una cosa la condivido in pieno del tuo discorso, quel fascino di una vita più semplice, più sobria (non mi piace il termine "povera") che dovremmo imparare anche noi, adesso, ora più che mai. E invece si fa esattamente il contrario, si rema giusto nella direzione opposta (quella verso il precipizio?).
E allora, dato che una via di mezzo tra quello che era e i nostri giorni appare del tutto improponibile (a livello di società intendo), non rimane che continuare a ricercare come fai te Gongo e altri insieme a te e come cerco di fare nel mio piccolo anch'io, questo modo di vivere così diverso e lontano dal nostro mondo. Per quale motivo ancora bene non so, non certo per imitarlo, parlo per me. Eppure qualcosa comunque mi spinge ancora a cercare, a capire, e non penso sia solo il fascino da antiquariato di un mondo che non esiste più. Che forse, una parzialissima soluzione alla crisi economica e culturale che stiamo vivendo possa ripartire anche da un diverso approccio dell'uomo con l'ambiente, ripartendo dall'agricoltura, dai territori, dal rispetto della natura come delle persone. Una nuova e più radicale "Rivoluzione verde"?
In parte condivido quello che hai scritto. Da un po' di tempo a questa parte mi muovo anch'io in montagna soprattutto alla ricerca delle tracce, delle testimonianze, della memoria delle generazioni di montanari che ci hanno preceduto.
Attraverso dominazioni diverse, guerre, epidemie, catastrofi naturali. E queste popolazioni, uomini e donne, hanno ricominciato sempre daccapo, dura fibra come quella dell'ambiente che li circonda. Da te, in Friuli, come qui da me in Veneto, Alto vicentino e bellunese che sono le zone che conosco meglio.
Gente resistente mi verrebbe da dire, di nome e di fatto, pensando anche al contributo in termini di appoggio ai partigiani e di sangue che hanno pagato nell'ultimo conflitto mondiale.
Eppure... eppure c'è un grosso interrogativo. Come un minimo di benessere si è infiltrato nelle pianure ai piedi di queste montagne, questa gente ha abbandonato di getto la montagna. Nel giro di un generazione sola, o anche meno.
Perchè forse la vita era veramente troppo dura, difficile. Era miseria quella che vivevano, miseria nera. Fame. E dal punto di vista culturale, quanta ignoranza, quanto bigottismo in quelle piccole comunità isolate dal mondo. Che nel frattempo, nel bene e nel male, stava vorticosamente mutando. Forse esagero, forse no, sono i due lati della stessa medaglia?
Girando un po' in montagna alla ricerca di queste tracce, mi accorgo di come l'ambiente naturale sia stato pesantemente sfruttato in ogni sua più piccola risorsa. E quando non ce l'hanno più fatta, la valvola di sfogo dell'emigrazione è stata la salvezza per intere comunità. Ma prima di partire non si può dire non abbiano intrapreso ogni più immane sforzo per riuscire a spremere un minimo di sostentamento dalla montagna.
Terrazzamenti ciclopici in luoghi impervi, malghette e casere negli angoli più inaccessibili, sfruttamento del bosco in versanti sempre più scomodi, sfalci in prati ai limiti degli abissi (come dalle parti di La Valle Agordina, sul Valaràz, andare a vedere per credere). Ogni volta che vedo cose di questo genere mi chiedo quale razza di uomini ci abbia preceduto. Antropologicamente diversi, forse anche geneticamente. Un' altra cosa rispetto a noi.
Eppure, e mi ripeto, in tutto questo non vedo niente di così romantico, nessun mito del buon selvaggio, nessun equilibrio tra l'uomo e l'ambiente. Tutt'altro anzi. Ma una cosa la condivido in pieno del tuo discorso, quel fascino di una vita più semplice, più sobria (non mi piace il termine "povera") che dovremmo imparare anche noi, adesso, ora più che mai. E invece si fa esattamente il contrario, si rema giusto nella direzione opposta (quella verso il precipizio?).
E allora, dato che una via di mezzo tra quello che era e i nostri giorni appare del tutto improponibile (a livello di società intendo), non rimane che continuare a ricercare come fai te Gongo e altri insieme a te e come cerco di fare nel mio piccolo anch'io, questo modo di vivere così diverso e lontano dal nostro mondo. Per quale motivo ancora bene non so, non certo per imitarlo, parlo per me. Eppure qualcosa comunque mi spinge ancora a cercare, a capire, e non penso sia solo il fascino da antiquariato di un mondo che non esiste più. Che forse, una parzialissima soluzione alla crisi economica e culturale che stiamo vivendo possa ripartire anche da un diverso approccio dell'uomo con l'ambiente, ripartendo dall'agricoltura, dai territori, dal rispetto della natura come delle persone. Una nuova e più radicale "Rivoluzione verde"?
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