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E’ il tempo tutto ciò che possediamo

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081012

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Poco. Che fugge via in una manciata di anni, mesi, giorni, ore. Mente ci incazziamo, mentre dormiamo, mente facciamo cose inutili. Lo gettiamo via. La nostra valuta. Il nostro unico vero denaro. Come banconote da 100 euro accartocciate e gettate in un angolo. Così svaniscono molte delle nostre giornate.

Giorni fa … ma quanti? Ecco appunto, nemmeno me lo ricordo. Tempo compresso. Tempo sfuggito. Che se ne va nel vento come i petali bianchi su cui soffiavo da bambino.

Alcuni giorni fa, dicevo, ho visto un film. Titolo: In time. Tralascio la banalità della trama che purtroppo rende poca giustizia all’idea di fondo. Che è più o meno questa. In un‘epoca non meglio identificata si nasce e si vive fino a 25 anni. A quel punto o hai guadagnato tempo, e prosegui a vivere senza invecchiare, oppure muori.

Il tempo è la valuta di ogni transizione. Si lavora in fabbrica e alla fine della giornata si riceve tempo. Lo si dona. Lo si ruba. Lo si elemosina. La società fortemente stratificata è divisa in varie classi sociali. I ricchi vivono giovani per sempre e abitano in una zona fortificata. La zona 1. Più questo numero cresce più la gente sorpassa con difficolta i 25 anni. La zona 12 è “il ghetto”. Dove vive il protagonista.

Il tempo scorre inesorabile davanti ai tuoi occhi. Un timer fosforescente sull’avambraccio ti ricorda esattamente quanto ti manca. E basta incrociare le braccia con qualcuno per dare o ricevere tempo.

C’è molta differenza fra la fantascienza della pellicola e la realtà delle nostre vite? E’ vero, non smettiamo di invecchiare a 25 anni. Ma ci piacerebbe e facciamo di tutto per arrestare l’invecchiamento del nostro corpo. Esercizio fisico, creme, riposo, rimedi arcaici, intrugli new-age, chirurgia estetica. E’ vero, i ricchi non vivono per sempre. Certo però che la libertà di disporre del proprio tempo che il denaro gli permette aumenta di molto la possibilità di scegliere come trascorrerlo con piacere. E’ vero non moriamo a 25 anni se non abbiamo ne frattempo guadagnato del tempo. Eppure molti di noi muoiono anche prima. Solamente che non lo sanno.

Ecco, in sostanza, la vera differenza fra il film e la vita è che nessuno di noi sa quanto tempo ha a disposizione.

Meglio o peggio? Difficile a dirsi. Forse sapendolo utilizzeremmo meglio i giorni a nostra disposizione. Perché hai voglia a dire “vivi come se fosse il tuo ultimo giorno”. Nessuno lo fa. Perché ognuno sotto sotto spera che quello non sia il suo ultimo giorno. E se ne convince. Allontanando da sé lo spettro della morte. Ma se si produce meglio avendo una scadenza, non sarà che si vive meglio sapendo quando tutto finisce?

Certo sapendo che puoi irrompere fucile alla mano in una Banca del Tempo e rubarti un altro po’ di vita sposterebbe non poco il confine dell’illecito giustificabile in nome della sopravvivenza. E con questo il campo e lo stesso significato dell’etica.

D’altra parte il tempo che fugge è uno dei temi più ricorrenti nelle cosmologie umane. Da quelle che bypassano la morte proiettando una parte di noi nell’eternità a quelle che cercano di sconfiggere simbolicamente il corso lineare del tempo nell’aldiquà.

Me ne vengono in mente due. Agli antipodi. Una che sta alla base della stessa cultura Occidentale. L’altra totalmente aliena.

I Greci avevano 3 parole per indicare il tempo: aion, kronos e kairos. Aion rappresenta l’eternità, l’intera durata della vita, l’evo; è il divino principio creatore, eterno, immoto e inesauribile. Kronos indica il tempo nelle sue dimensioni di passato presente e futuro, lo scorrere delle ore. Kairos indica il tempo opportuno, la buona occasione, il momento propizio. Ed è proprio su quest’ultimo che la filosofia greca imposta la propria risposta alla fugacità. Kairos è la capacità di rimanere aperti. Di percepire i lati nascosti e le angolazioni insolite della realtà. Solo così si riescono a percepire quelle opportunità che altrimenti ci sfuggirebbero. Guadagnando quindi in profondità ciò che perdiamo nell’orizzontale svanire dei giorni. Moltiplicare le possibilità e i bivi del flusso temporale per scegliere meglio.

Scegliere. Ciò che i ricchi di In Time possono fare e che invece è precluso ai poveri.

Agli antipodi i Tukano dell’Amazzonia. In un libro bellissimo Christine Hugh Jones racconta la complessa cosmologia che racconta l’epopea degli antichi lungo il Fiume di Latte. Gli uomini passeggeri e finiti inseriti nel perenne ciclico rinnovarsi della natura. E’ così che i Tukano interpretano la vita. E la cerimonia di iniziazione dei giovani maschi ricalca in pieno questa consapevolezza.

I Tukano sanno infatti che a differenza dei maschi le femmine hanno le mestruazioni. Gli uni linee rette, rappresentanti della cultura, del tempo e dell’uomo dell’inesorabile cammino verso la morte. Le altre simbolicamente cerchi perfetti, rappresentanti delle forze della natura, del tempo che si rinnova ciclicamente. Di mese in mese attraverso la perdita del sangue, liquido vitale. Ed è così che in un rito complicatissimo i giovani Tukano diventano uomini dipingendosi del rosso delle bacche dell’Uruku. Diventando simbolicamente donne mestruanti. Per sottrarsi al cammino verso la morte e immergersi di nuovo nel grembo della natura per riemergere uomini pienamente Tukano.

Trattenere o ingannare il tempo che se ne va. Scendendo in profondità e moltiplicando le opportunità. O attraverso il cerchio che torna su sé stesso. Per quanto diverse, le culture umane sembrano non poter prescindere da questa inquietudine.
Tengri
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