Primi passi
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Primi passi
Avevi sognato quel momento per tanto tempo, ma non ti immaginavi che sarebbe arrivato così, all’improvviso, tanto da non rendertene ancora pienamente conto nei giorni successivi.
Avevi già condotto una salita, sì, ma su vie sportive, “seguendo una fila di spit”, come avrebbe detto qualcuno.
Una salita vera, in ambiente, non l’avevi ancora condotta.
Avevi pensato tante volte di ripetere, come prima via da capocordata, un itinerario già percorso da secondo.
E invece, quella sera di inizio agosto in cui vi eravate trovati, tu e i tuoi classici compagni di scorribande per i monti, era saltata fuori quell’idea: “…se il tempo fosse brutto invece che un giro in Sorapiss potremmo fare una vietta in Piccole Dolomiti, ci sono un paio di itinerari che dovrebbero essere alla nostra portata”.
…
Neanche a farlo apposta la meteo non è delle migliori e dei tre giorni prescelti solo uno avrebbe tempo stabile.
Così domenica sera chiami i due compagni e decidi di proporre la via che più ti sembra fattibile: uno dei due è reduce da una ravanata solitaria e ha il ginocchio fuori uso, l’altro accetta; ritrovo il giorno dopo alle 7.30 a Valdagno.
Recuperi un paio di relazioni, un po’ contrastanti, per rassicurarti sul fatto che sarete in grado di portare a termine la salita, ma a cena comunque hai poco appetito e la notte dormi male.
La mattina la strada scorre veloce, così come il sentiero di avvicinamento.
Vi fermate non appena vedete la vostra meta per studiare l’itinerario di salita: il tuo compagno dice che, a vederla da lì, la roccia non sembra un granché, e tu subito a ribattere che, se così fosse, sareste tornati indietro.
Mentre vi preparate, all’attacco della via, la butti lì all’altro: “e allora, proviamo?”, sperando che ti risponda che non se la sente, ma al suo “vamos!” capisci che è arrivato il momento di ballare.
Sali i primi metri con passo incerto, vuoi per la tensione, vuoi perché è più di un mese che non arrampichi seriamente per colpa di quell’infortunio, e ad ogni passo sei lì per dire “torniamo indietro”.
Alla prima sosta recuperi il tuo compagno, gli chiedi se vuole tirare lui la prossima lunghezza, ma ti risponde negativamente. Capisci che tutta la responsabilità della salita sarà ora sulle tue spalle e continui a salire.
Ma ecco che, all’uscita del camino del quarto tiro, quando guardi i piedi per aprire le gambe in spaccata, e vedi il verde dei prati di Campogrosso laggiù in fondo, sotto di te, ti scatta qualcosa dentro: finalmente senti che quella salita sta diventando tua, capisci perché, nonostante tutti i timori della prima volta, dell’ignoto, volevi salire lassù.
Procedi fino alla sosta, che la relazione definiva come “un’angusta nicchia”, ma che a te ora sembra comoda e confortevole come la stanza di un albergo di lusso: ti siedi contento sul terrazzino, inizi a recuperare il tuo compagno e lo accogli con un sorriso dicendogli “ormai siamo fuori” anche se mancano ancora alcune lunghezze alla cima.
Da lì tutto scorre velocemente, le ultime lunghezze, i brevi attimi in vetta, le preoccupazioni nella ricerca dell’ancoraggio di calata, le due doppie e la discesa lungo il sentiero fino alla macchina.
Dove, mentre mettete in ordine il materiale, due vecchietti si avvicinano a chiedervi se avevate arrampicato: mai che siano due belle ragazze a interessarsi di queste cose!
Avevi già condotto una salita, sì, ma su vie sportive, “seguendo una fila di spit”, come avrebbe detto qualcuno.
Una salita vera, in ambiente, non l’avevi ancora condotta.
Avevi pensato tante volte di ripetere, come prima via da capocordata, un itinerario già percorso da secondo.
E invece, quella sera di inizio agosto in cui vi eravate trovati, tu e i tuoi classici compagni di scorribande per i monti, era saltata fuori quell’idea: “…se il tempo fosse brutto invece che un giro in Sorapiss potremmo fare una vietta in Piccole Dolomiti, ci sono un paio di itinerari che dovrebbero essere alla nostra portata”.
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Neanche a farlo apposta la meteo non è delle migliori e dei tre giorni prescelti solo uno avrebbe tempo stabile.
Così domenica sera chiami i due compagni e decidi di proporre la via che più ti sembra fattibile: uno dei due è reduce da una ravanata solitaria e ha il ginocchio fuori uso, l’altro accetta; ritrovo il giorno dopo alle 7.30 a Valdagno.
Recuperi un paio di relazioni, un po’ contrastanti, per rassicurarti sul fatto che sarete in grado di portare a termine la salita, ma a cena comunque hai poco appetito e la notte dormi male.
La mattina la strada scorre veloce, così come il sentiero di avvicinamento.
Vi fermate non appena vedete la vostra meta per studiare l’itinerario di salita: il tuo compagno dice che, a vederla da lì, la roccia non sembra un granché, e tu subito a ribattere che, se così fosse, sareste tornati indietro.
Mentre vi preparate, all’attacco della via, la butti lì all’altro: “e allora, proviamo?”, sperando che ti risponda che non se la sente, ma al suo “vamos!” capisci che è arrivato il momento di ballare.
Sali i primi metri con passo incerto, vuoi per la tensione, vuoi perché è più di un mese che non arrampichi seriamente per colpa di quell’infortunio, e ad ogni passo sei lì per dire “torniamo indietro”.
Alla prima sosta recuperi il tuo compagno, gli chiedi se vuole tirare lui la prossima lunghezza, ma ti risponde negativamente. Capisci che tutta la responsabilità della salita sarà ora sulle tue spalle e continui a salire.
Ma ecco che, all’uscita del camino del quarto tiro, quando guardi i piedi per aprire le gambe in spaccata, e vedi il verde dei prati di Campogrosso laggiù in fondo, sotto di te, ti scatta qualcosa dentro: finalmente senti che quella salita sta diventando tua, capisci perché, nonostante tutti i timori della prima volta, dell’ignoto, volevi salire lassù.
Procedi fino alla sosta, che la relazione definiva come “un’angusta nicchia”, ma che a te ora sembra comoda e confortevole come la stanza di un albergo di lusso: ti siedi contento sul terrazzino, inizi a recuperare il tuo compagno e lo accogli con un sorriso dicendogli “ormai siamo fuori” anche se mancano ancora alcune lunghezze alla cima.
Da lì tutto scorre velocemente, le ultime lunghezze, i brevi attimi in vetta, le preoccupazioni nella ricerca dell’ancoraggio di calata, le due doppie e la discesa lungo il sentiero fino alla macchina.
Dove, mentre mettete in ordine il materiale, due vecchietti si avvicinano a chiedervi se avevate arrampicato: mai che siano due belle ragazze a interessarsi di queste cose!
Musico Errante- Messaggi : 328
Data d'iscrizione : 20.03.12
Località : Vicenza
Re: Primi passi
Bella storia Musico!
LucaVi- Messaggi : 3780
Data d'iscrizione : 11.03.12
Località : Cimolais
Re: Primi passi
Belli i primi passi.
Lo zaino che pesa, che in falesia e palestra non avevi mai avuto.
Una quantità di materiale spropositata.
Quell'ultima protezione che è ad una distanza kilometrica (son due metri ed è un chiodo...) rispetto a quello a cuieri abituato.
La via che non è così evidente come eri abituato.
Lo zaino che pesa, che in falesia e palestra non avevi mai avuto.
Una quantità di materiale spropositata.
Quell'ultima protezione che è ad una distanza kilometrica (son due metri ed è un chiodo...) rispetto a quello a cuieri abituato.
La via che non è così evidente come eri abituato.
mork- Messaggi : 1446
Data d'iscrizione : 12.03.12
Età : 50
Località : Bolzano
Re: Primi passi
Eh, mai una volta che il secondo ti dica che forse è meglio rinunciare....
AndreaVe- Messaggi : 3250
Data d'iscrizione : 11.03.12
Re: Primi passi
(ma la morosa l'hai portata sulla Santner?)
AndreaVe- Messaggi : 3250
Data d'iscrizione : 11.03.12
Re: Primi passi
Ma dici a me? No, non l'ho portata.AndreaVe ha scritto:(ma la morosa l'hai portata sulla Santner?)
Cmq la ragazza che solitamente arrampica con me non è mia morosa. In effetti, se la mia morosa leggesse la tua frase, potrebbe pensare che tu sappia qualcosa che lei non sa, situazione che mi costringerebbe a chiedere ospitalità a casa tua, sempre che tu abbia a cuore la mia incolumità
mork- Messaggi : 1446
Data d'iscrizione : 12.03.12
Età : 50
Località : Bolzano
Re: Primi passi
Cara morosa di mork,
Mi rendo conto solo ora di aver scritto una frase avventata, travisando il significato di alcune parole del tuo fedele compagno.
Come sicuramente saprai il termine compagno (o nel caso specifico compagna) nell'attività alpinistica sta indicare colui o colei che si lega alla tua corda per compiere una ascensione.
Ora, alla mia età avanzata e non praticando più tale attività, ricordo di gioventù ormai, ho interpretato nel modo più comune quel termine rischiando di dar adito a spiacevoli fraintendimenti.
Ti prego quindi di essere comprensiva col tuo valoroso e affidabile compagno (di vita). È di tenertelo ancora a casa che da me ho posto solo nel letto matrimoniale e non mi pare il caso.
In attesa di incontrarti personalmente, ti invio cordialissimi saluti.
Andrea
Mi rendo conto solo ora di aver scritto una frase avventata, travisando il significato di alcune parole del tuo fedele compagno.
Come sicuramente saprai il termine compagno (o nel caso specifico compagna) nell'attività alpinistica sta indicare colui o colei che si lega alla tua corda per compiere una ascensione.
Ora, alla mia età avanzata e non praticando più tale attività, ricordo di gioventù ormai, ho interpretato nel modo più comune quel termine rischiando di dar adito a spiacevoli fraintendimenti.
Ti prego quindi di essere comprensiva col tuo valoroso e affidabile compagno (di vita). È di tenertelo ancora a casa che da me ho posto solo nel letto matrimoniale e non mi pare il caso.
In attesa di incontrarti personalmente, ti invio cordialissimi saluti.
Andrea
AndreaVe- Messaggi : 3250
Data d'iscrizione : 11.03.12
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