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Salite Leggendarie: Salathè

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090812

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Il 24 settembre 1961, dopo sei giorni di lotte e metri rubati al cielo, Royal Robbins, Chuck Pratt e Tom Frost avevano dato alla luce una delle più grandi meraviglie che il mondo dell’alpinismo abbia mai visto.
Era nata la Salathè.

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All’epoca, Robbins era uno dei leaders più carismatici di Yosemite, grazie ad una serie di impressionanti salite di difficoltà semplicemente inimmaginabile pe...
r l’epoca. Nel 1952 aprì Open Book a Tahquiz Rock, la prima via statunitense di 5.9; un grado che oggi farebbe quantomeno sorridere se non fosse che stiamo parlando di un itinerario aperto 60 anni fa. Nel 1957, insieme a Mike Sherrick e Jerry Gallwas, salì la prima via dell’Half Dome, per la parete nordovest.
Ottimo liberista, dotato di grande elasticità articolare che gli permetteva di compiere incastri di braccia e gomiti indispensabili per la progressione nelle fessure, Robbins ottimizzò anche le tecniche per il recupero dei pesanti sacconi da big-wall ed introdusse i dadi da incastro per le protezione, diventando così anche un grande innovatore di tecniche alpinistiche nella valle e non solo.
Il nome della via fu scelto ancora prima della sua apertura; Royal Robbins ed i suoi compagni di cordata dedicarono la via che stava per nascere ad uno dei più grandi talenti dell’arrampicata di tutti i tempi, John Salathè.
Quando Robbins arrivò nella Yosemite Valley, Salathè era già un personaggio di riferimento. Il suo stile di salita poneva le basi per quello che sarebbe stata non solo l’etica dello stesso Robbins ma anche di tutta la valle: salite rigorosamente dal basso, con pochi chiodi limitati ai punti deboli della roccia e uso ridotto all’indispensabile di quelli a pressione.
Naturalmente questa presa di posizione di tutto rispetto, largamente seguita in Yosemite ma anche in altre parti del mondo, pone il quesito di quale livello si sarebbe raggiunto oggi e di quante vie, ritenute stupendi banchi di prova per i migliori scalatori al mondo, non sarebbero mai nate se non si fosse accettata la chiodatura dall’alto.
L’impresa di Robbins, Pratt e Frost, segue di tre anni la prima salita di El Capitan eseguita da Warren Harding nel 1958, che con settimane di vita in parete aprì la famosa “The Nose”, ma più volte Robbins ha sottolineato che furono impiegati solo 13 chiodi ad espansione per l’intera via mentre l’amico-rivale Harding ne utilizzò ben 125 per la sua salita.
Oltre a questo, i tre apritori della Salathè dovettero anche affrontare la questione di un’eventuale ritirata. La linea individuata, dopo attente ispezioni da lontano, prevedeva circa a metà delle ampie traversate che avrebbero portato gli scalatori sopra 300 metri di riccia liscia e compatta, senza fessure o altre strutture idonee ad attrezzare delle calate di emergenza.
Il problema fu superato salendo la via in due riprese, piazzando corde fisse dopo i primi 300 metri da utilizzare per le calate e plausibilmente anche come via di risalita per completare la parte rimanente.
Dopo 6 giorni di tentativi, la Salathè fu completata, con 471 chiodi tradizionali oltre ai 13 a pressione, 300 metri di corde fisse e molti tratti in artificiale.
Trittiko
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