Cos'hanno di tanto speciale gli anni ottanta?
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Cos'hanno di tanto speciale gli anni ottanta?
Sono serio e vorrei capire. Non è mia intenzione aprire l'ennesimo topic celebrativo, anzi
Prima, nessuno li considerava. Erano nel dimenticatoio. Ora tutti ne parlano. Ad esempio su FV c'è quel topic celebrativo, poi hanno anche aperto una pagina su fb con più di 1000 mi piace. E tutte le volte che parli di quegli anni, la gente sgrana gli occhioni e sta ad ascoltarti. I "piccoli" sospirano "peccato non esserci stato"... i nonni mormorano "mi ricordo"... "bei tempi", ed altre cose stucchevoli di questo tipo
Io, che c'ero, che ho respirato appieno quegli anni e quell'aria di rivoluzione, dico che sì, era bello e anche molto stimolante, ma non è che si era tutti amici ed era molto meglio di oggi, eh? C'erano attriti, polemiche, invidie, colpi bassi e personaggi insopportabili anche allora. Di questo bisognerebbe parlare. O almeno, anche. Col filtro del tempo sembrano, sembriamo, tutti santi, ma non era così
Tuttavia oggi tutti paiono ossessionati da quell'epoca "d'oro", e se ne parla secondo me oltre misura. O per lo meno di più che qualche tempo fa. A quando dei bei paginoni sullo "Scarpone", al posto dei soliti su Comici, Maestri, Bonatti? :mrgreen:
Dunque perchè tanto interesse d'improvviso? E cos'hanno avuto, di tanto speciale, quegli anni?
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Prima, nessuno li considerava. Erano nel dimenticatoio. Ora tutti ne parlano. Ad esempio su FV c'è quel topic celebrativo, poi hanno anche aperto una pagina su fb con più di 1000 mi piace. E tutte le volte che parli di quegli anni, la gente sgrana gli occhioni e sta ad ascoltarti. I "piccoli" sospirano "peccato non esserci stato"... i nonni mormorano "mi ricordo"... "bei tempi", ed altre cose stucchevoli di questo tipo
Io, che c'ero, che ho respirato appieno quegli anni e quell'aria di rivoluzione, dico che sì, era bello e anche molto stimolante, ma non è che si era tutti amici ed era molto meglio di oggi, eh? C'erano attriti, polemiche, invidie, colpi bassi e personaggi insopportabili anche allora. Di questo bisognerebbe parlare. O almeno, anche. Col filtro del tempo sembrano, sembriamo, tutti santi, ma non era così
Tuttavia oggi tutti paiono ossessionati da quell'epoca "d'oro", e se ne parla secondo me oltre misura. O per lo meno di più che qualche tempo fa. A quando dei bei paginoni sullo "Scarpone", al posto dei soliti su Comici, Maestri, Bonatti? :mrgreen:
Dunque perchè tanto interesse d'improvviso? E cos'hanno avuto, di tanto speciale, quegli anni?
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Cos'hanno di tanto speciale gli anni ottanta? :: Commenti
vorrei aggiungere una cosa sull'edonismo, da alcuni citato...
Credo che sia una cosa partita dalla Francia - perchè non credo che i sassisti si potessero definire edonisti - e noi del nord-ovest ne siamo stati investiti in pieno quasi subito. Oltre la pluricitata "Miranda in Solo", la famosa copertina di Vertical, che tutti prendemmo come uno scherzo, ma che ebbe nel nostro bigotto mondo un effetto dissacrante ... qualche tempo dopo fecero la loro comparsa i primi fotografi professionisti francesi. Ricordo Bernard Giani, Philippe Poulet e Philippe Royer. Soprattutto gli ultimi due ebbero l'intuizione di introdurre una sorta di glamour nell'arrampicata sportiva e così si cominciarono a vedere belle ragazze in abiti succinti e foto sfacciatamente in posa, cosa che prima non era in un certo senso considerata "etica". Soprattutto Royer andò oltre ingaggiando una serie di modelle e facedo loro le foto sulle ringhiere del Verdon, su Wide is love, sui sentieri. Noi eravamo scandalizzati ma il peggio doveva ancora venire perchè Royer, che ho anche conosciuto bene, prese la macchina e andò a Torino a proporre a Mantovani una serie di copertine quasi gratis. Le copertina furono presto pubblicate e tutti noi ci guardavamo perplessi, chi comprava la Rdm di quei tempi se ne ricorda. Di lì si diffuse la moda dei pantacollant e di un certo edonismo. Chi frequentava Finale si ricorda anche gli orecchini con la piuma ed altre cose ancora più estreme. Al nord-est credo che si diffuse limitatamente, e soprattutto per l'effetto dei pantacollant che fece La Sportiva e del calendario con le foto alla Spiaggia delle Lucertole, di Mariacher, Manolo, Bassi e Jovane. Tuttavia non credo che gli italiani fossero edonisti, almeno non quanto i francesi. Era semplicemente un fatto di moda che non definirei come voglia di andare controcorrente o differenziarsi dagli alpinisti duri e puri. Un altro status symbol del periodo era il pile patagonia. Tutti gli scalatori ce l'avevano, meglio se comprato nella strada principale di Cham. Mi ricordo che in un dato periodo ci si riconosceva ovunque, in città, perchè se avevi il pile eri uno di noi. Alla fine era un po' come la camicia a scacchi degli anni cinquanta-sessanta
Credo che sia una cosa partita dalla Francia - perchè non credo che i sassisti si potessero definire edonisti - e noi del nord-ovest ne siamo stati investiti in pieno quasi subito. Oltre la pluricitata "Miranda in Solo", la famosa copertina di Vertical, che tutti prendemmo come uno scherzo, ma che ebbe nel nostro bigotto mondo un effetto dissacrante ... qualche tempo dopo fecero la loro comparsa i primi fotografi professionisti francesi. Ricordo Bernard Giani, Philippe Poulet e Philippe Royer. Soprattutto gli ultimi due ebbero l'intuizione di introdurre una sorta di glamour nell'arrampicata sportiva e così si cominciarono a vedere belle ragazze in abiti succinti e foto sfacciatamente in posa, cosa che prima non era in un certo senso considerata "etica". Soprattutto Royer andò oltre ingaggiando una serie di modelle e facedo loro le foto sulle ringhiere del Verdon, su Wide is love, sui sentieri. Noi eravamo scandalizzati ma il peggio doveva ancora venire perchè Royer, che ho anche conosciuto bene, prese la macchina e andò a Torino a proporre a Mantovani una serie di copertine quasi gratis. Le copertina furono presto pubblicate e tutti noi ci guardavamo perplessi, chi comprava la Rdm di quei tempi se ne ricorda. Di lì si diffuse la moda dei pantacollant e di un certo edonismo. Chi frequentava Finale si ricorda anche gli orecchini con la piuma ed altre cose ancora più estreme. Al nord-est credo che si diffuse limitatamente, e soprattutto per l'effetto dei pantacollant che fece La Sportiva e del calendario con le foto alla Spiaggia delle Lucertole, di Mariacher, Manolo, Bassi e Jovane. Tuttavia non credo che gli italiani fossero edonisti, almeno non quanto i francesi. Era semplicemente un fatto di moda che non definirei come voglia di andare controcorrente o differenziarsi dagli alpinisti duri e puri. Un altro status symbol del periodo era il pile patagonia. Tutti gli scalatori ce l'avevano, meglio se comprato nella strada principale di Cham. Mi ricordo che in un dato periodo ci si riconosceva ovunque, in città, perchè se avevi il pile eri uno di noi. Alla fine era un po' come la camicia a scacchi degli anni cinquanta-sessanta
biemme ha scritto:Batman ha scritto:Limitandosi all'arrampicata, e molto di corsa (ci sarebbe da organizzare un bel convegno, sull'argomento...) ...
si c'è parecchia materia bat, ma ... e provoco anche tocci, proprio partendo dalla tua parentesi, una cosa che mi son chiesto spesso da una trentina d'anni in qua ... tu pensi che i convegni siano stati, siano, e possano essere in futuro uno strumento interessante o proficuo, in chiave di dibattito o anche di ricerca storiografica?
io ci ho sempre trovato - in ogni angolo d'italia - molta, moltissima autoreferenzialità, sempre le stesse facce a presentare, le stesse a parlare, le stesse a lodare oltre ogni aggettivo sempre le stesse persone (figure anche valide eh) lasciandone completamente fuori molte altre di assoluto rilievo, forse proprio perchè personaggi "particolari", scontrosi o schivi a presentarsi in pubblico, sia pure in platea. di quelli che mai e poi mai avresti trovato in un convegno magari per controbattere, ma che - spesso col senno di poi - si rivelano essere stati alpinisti/arrampicatori che hanno fatto davvero la differenza, gente avanti
ecco, su questo trovo più, come dire, completo, superpartes, trasversale, documentarmi su un forum italiano o straniero, o cmq in rete, piuttosto che tra cumuli di documentazione di convegni, cajani e non, di filmfestival, di presentazioni di libri, film e via dicendo, dove moderatori, ospiti d'onore, relatori, insomma, ecco ...
meglio qui, indubbiamente, ma ai convegni in qualche modo si tirano le somme. Qui non rimane nulla, se non in noi stessi
Scivolò dal panorama al garage per una piccola svista
di Andrea Gobetti
Correva l’anno 1985, avevo l’età di Cristo in croce e ne imitavo l’agonia su appigli più alti di me. Arrampicare era diventato faticoso e farlo da galletto del pollaio a me risultava impossibile. Bisognava allenarsi, piegare il ginocchio anche lì al trono del verbo dovere.
Tutt’attorno la gente di pianura si pentiva e strapentiva degli anni ’70, maledicendosi per aver sacrificato all’essere e non all’avere un bel pezzo di gioventù. Presto si sarebbero rifatti, avrebbero recuperato il tempo perduto e sarebbero assomigliati quasi perfettamente a quella razza di stupidi vecchi, vigliacchi e prepotenti, che tanto prima avevano odiato.
A me l’anda del ’68 continuava ad affascinarmi, mica per la politica per carità, ma per il risparmio di formalismo che ci aveva insegnato. S’era visto il crollo d’un tipo di persone che prima si erano date un’importanza smisurata rispetto agli effettivi valori. Erano cadute nel ridicolo, agili come le statue che ogni giorno interpretavano per essere scolpite meglio.
Fu un lampo, ma si propagò e anche in montagna fece le sue vittime, incrinò il potere dei detentori della forma.
Ai loro scarponi si sostituirono le scarpette di giovani pieni d’energia.
Erano dei personaggi socialmente periferici, che avevano messo la loro carica rivoluzionaria nientemeno che per contestare la forza di gravità.
Io amavo arrampicare e quando il V+ era la porta dell’empireo ne ero soddisfattissimo.
C’era della lurida vanità, non lo nego, ma nei dintorni del quinto allignano dei fenomeni di fluidità, di stato di grazia con estasi sensoriali, di soddisfazione nel riconoscimento del proprio valore che allo sperimentatore delle umane possibilità possono offrire gioia e sicurezza nonché un vasto e misterioso, quanto piacevole, campo di scoperte.
Quando la frontiera della difficoltà massima si allontanò dal quinto pochi rimasero fedeli al paese delle delizie e inseguendola su per la scala “aperta” trovarono le frustrazioni del progresso, le corse stressanti dietro un obbiettivo irraggiungibile se non per illusione, da cui Willo Welzenbach l’aveva preservata.
In quegli anni febbrili e contradditori la fortuna mi volle compagno di scalatori notevolissimi di varie generazioni successive, fui testimone dei loro pensieri raccontandone per una decina di stagioni le storie sull’annuario eretico della Rivista della Montagna, il celebre Roc.
Goffo, ma speleo, riuscii a farmi mostrare da molti arrampicatori la loro parte più nascosta, l’ombra della sensibilità mentale a cui gli “sportivi” negavano il valore se non addirittura l’esistenza.
Ero un redattore anomalo, altri badavano fingendosi umili soprattutto alle loro gesta, io preferivo avvicinarmi agli eroi come complice, aiutarli ad organizzare per scritto i loro pensieri e macerare i miei nella realtà delle esperienze loro.
Quando nacque Roc, a metà degli anni ’80, si arrampicava ancora sotto il cielo, ma in onor dei tempi si cominciò purtroppo a parlar di soldi tutto il giorno.
L’avere invase il campo dell’essere ed è sotto il peso di quei soldi, soprattutto parlati, che l’arrampicata estrema prese la via della città palestre. Scivolò dal panorama al garage per una piccola svista.
Soldi che si credeva di poter spendere, avendoli catturati. Ma i soldi degli anni ’80 non erano più di quella specie placida che, catturata in tasca, attende pazientemente di venir spesa, bensì d’una razza ben più furiosa che vive a suo agio solo nei grandi depositi, stile Zio Paperone, nei colossali caveau delle banche e che soffre di claustrofobia e solitudine nei portafogli normali.
Disperati per il piccolo cabotaggio delle spese dei loro padroni questi soldi iniziarono a passar di tasca in tasca fomentando in tutti un nervoso movimento e infine la fuga generale dalla gente normale verso più ampie cassaforti.
Nell’85 l’arrampicata libera, “il free climbing”, stava avvicinandosi a uno strano mercato, con l’occhio guardingo e sprovveduto del montanaro a Disneyland, dei piemontesi al mare. Non tutti si rendevano conto che tra le merci si trattava anche e soprattutto la carne umana.
C’era chi credeva di andare a vendere strada e vocazione per una vita migliore e invece fu comprato con una scarpa e subito rivenduto come pubblicità al sudore.
Eppure c’era dalle parti del quinto il bene più prezioso che l’arrampicatore portava con sé.
Lui, povero occidentale, era riuscito ad inventare un’arte “orientale”, una via di liberazione dello spirito. Aveva scoperto, tra gli appigli sparsi dal caso naturale, una scala celeste su cui si distaccava dalle basse preoccupazioni e innescava l’inedita comunicazione fra il corpo e la mente.
Migliore era questo scambio e più agile diventava l’arrampicatore. La meta e la via si corrispondevano. Una presa di coscienza generale su questi elementari valori però mai ci fu.
Dopo poco si preferì la competizione alla condivisione delle esperienze e il punto focale divenne la definizione della difficoltà in roccia, anziché quella delle nostre capacità sviluppate sul metro umano.
Eppure questa strada che già i latini lodavano, “mens sana in corpore sano”, col tempo uscirà di nuovo dalle scarpe dei climbers, forse quando l’istinto di conservazione, ultima speranza della razza umana, gli ricorderà che la vera forza dell’uomo è sì nel cervello, ma il corpo non è il suo schiavo e potrebbe anche diventargli amico. Se solo non lo trattasse come una bestia in gabbia…
di Andrea Gobetti
Correva l’anno 1985, avevo l’età di Cristo in croce e ne imitavo l’agonia su appigli più alti di me. Arrampicare era diventato faticoso e farlo da galletto del pollaio a me risultava impossibile. Bisognava allenarsi, piegare il ginocchio anche lì al trono del verbo dovere.
Tutt’attorno la gente di pianura si pentiva e strapentiva degli anni ’70, maledicendosi per aver sacrificato all’essere e non all’avere un bel pezzo di gioventù. Presto si sarebbero rifatti, avrebbero recuperato il tempo perduto e sarebbero assomigliati quasi perfettamente a quella razza di stupidi vecchi, vigliacchi e prepotenti, che tanto prima avevano odiato.
A me l’anda del ’68 continuava ad affascinarmi, mica per la politica per carità, ma per il risparmio di formalismo che ci aveva insegnato. S’era visto il crollo d’un tipo di persone che prima si erano date un’importanza smisurata rispetto agli effettivi valori. Erano cadute nel ridicolo, agili come le statue che ogni giorno interpretavano per essere scolpite meglio.
Fu un lampo, ma si propagò e anche in montagna fece le sue vittime, incrinò il potere dei detentori della forma.
Ai loro scarponi si sostituirono le scarpette di giovani pieni d’energia.
Erano dei personaggi socialmente periferici, che avevano messo la loro carica rivoluzionaria nientemeno che per contestare la forza di gravità.
Io amavo arrampicare e quando il V+ era la porta dell’empireo ne ero soddisfattissimo.
C’era della lurida vanità, non lo nego, ma nei dintorni del quinto allignano dei fenomeni di fluidità, di stato di grazia con estasi sensoriali, di soddisfazione nel riconoscimento del proprio valore che allo sperimentatore delle umane possibilità possono offrire gioia e sicurezza nonché un vasto e misterioso, quanto piacevole, campo di scoperte.
Quando la frontiera della difficoltà massima si allontanò dal quinto pochi rimasero fedeli al paese delle delizie e inseguendola su per la scala “aperta” trovarono le frustrazioni del progresso, le corse stressanti dietro un obbiettivo irraggiungibile se non per illusione, da cui Willo Welzenbach l’aveva preservata.
In quegli anni febbrili e contradditori la fortuna mi volle compagno di scalatori notevolissimi di varie generazioni successive, fui testimone dei loro pensieri raccontandone per una decina di stagioni le storie sull’annuario eretico della Rivista della Montagna, il celebre Roc.
Goffo, ma speleo, riuscii a farmi mostrare da molti arrampicatori la loro parte più nascosta, l’ombra della sensibilità mentale a cui gli “sportivi” negavano il valore se non addirittura l’esistenza.
Ero un redattore anomalo, altri badavano fingendosi umili soprattutto alle loro gesta, io preferivo avvicinarmi agli eroi come complice, aiutarli ad organizzare per scritto i loro pensieri e macerare i miei nella realtà delle esperienze loro.
Quando nacque Roc, a metà degli anni ’80, si arrampicava ancora sotto il cielo, ma in onor dei tempi si cominciò purtroppo a parlar di soldi tutto il giorno.
L’avere invase il campo dell’essere ed è sotto il peso di quei soldi, soprattutto parlati, che l’arrampicata estrema prese la via della città palestre. Scivolò dal panorama al garage per una piccola svista.
Soldi che si credeva di poter spendere, avendoli catturati. Ma i soldi degli anni ’80 non erano più di quella specie placida che, catturata in tasca, attende pazientemente di venir spesa, bensì d’una razza ben più furiosa che vive a suo agio solo nei grandi depositi, stile Zio Paperone, nei colossali caveau delle banche e che soffre di claustrofobia e solitudine nei portafogli normali.
Disperati per il piccolo cabotaggio delle spese dei loro padroni questi soldi iniziarono a passar di tasca in tasca fomentando in tutti un nervoso movimento e infine la fuga generale dalla gente normale verso più ampie cassaforti.
Nell’85 l’arrampicata libera, “il free climbing”, stava avvicinandosi a uno strano mercato, con l’occhio guardingo e sprovveduto del montanaro a Disneyland, dei piemontesi al mare. Non tutti si rendevano conto che tra le merci si trattava anche e soprattutto la carne umana.
C’era chi credeva di andare a vendere strada e vocazione per una vita migliore e invece fu comprato con una scarpa e subito rivenduto come pubblicità al sudore.
Eppure c’era dalle parti del quinto il bene più prezioso che l’arrampicatore portava con sé.
Lui, povero occidentale, era riuscito ad inventare un’arte “orientale”, una via di liberazione dello spirito. Aveva scoperto, tra gli appigli sparsi dal caso naturale, una scala celeste su cui si distaccava dalle basse preoccupazioni e innescava l’inedita comunicazione fra il corpo e la mente.
Migliore era questo scambio e più agile diventava l’arrampicatore. La meta e la via si corrispondevano. Una presa di coscienza generale su questi elementari valori però mai ci fu.
Dopo poco si preferì la competizione alla condivisione delle esperienze e il punto focale divenne la definizione della difficoltà in roccia, anziché quella delle nostre capacità sviluppate sul metro umano.
Eppure questa strada che già i latini lodavano, “mens sana in corpore sano”, col tempo uscirà di nuovo dalle scarpe dei climbers, forse quando l’istinto di conservazione, ultima speranza della razza umana, gli ricorderà che la vera forza dell’uomo è sì nel cervello, ma il corpo non è il suo schiavo e potrebbe anche diventargli amico. Se solo non lo trattasse come una bestia in gabbia…
biemme ha scritto:Batman ha scritto:Limitandosi all'arrampicata, e molto di corsa (ci sarebbe da organizzare un bel convegno, sull'argomento...) ...
si c'è parecchia materia bat, ma ... e provoco anche tocci, proprio partendo dalla tua parentesi, una cosa che mi son chiesto spesso da una trentina d'anni in qua ... tu pensi che i convegni siano stati, siano, e possano essere in futuro uno strumento interessante o proficuo, in chiave di dibattito o anche di ricerca storiografica?
io ci ho sempre trovato - in ogni angolo d'italia - molta, moltissima autoreferenzialità, sempre le stesse facce a presentare, le stesse a parlare, le stesse a lodare oltre ogni aggettivo sempre le stesse persone (figure anche valide eh) lasciandone completamente fuori molte altre di assoluto rilievo, forse proprio perchè personaggi "particolari", scontrosi o schivi a presentarsi in pubblico, sia pure in platea. di quelli che mai e poi mai avresti trovato in un convegno magari per controbattere, ma che - spesso col senno di poi - si rivelano essere stati alpinisti/arrampicatori che hanno fatto davvero la differenza, gente avanti
ecco, su questo trovo più, come dire, completo, superpartes, trasversale, documentarmi su un forum italiano o straniero, o cmq in rete, piuttosto che tra cumuli di documentazione di convegni, cajani e non, di filmfestival, di presentazioni di libri, film e via dicendo, dove moderatori, ospiti d'onore, relatori, insomma, ecco ...
Oh ma io mica dicevo sul serio di fare un convegno, era solo per dire che l'argomento è ricco
Comunque "l'ondata liberatoria" era già arrivata anche da noi, dove più dove meno, e per l'appunto la pubblicazione dei "Cento nuovi mattini" ne certificava la ricezione...
Per essere schematici, se parliamo del passaggio dall'alpinismo eroico all'arrampicata come attività autonoma (il "gioco arrampicata") allora siamo nei settanta. Se parliamo del passaggio dall'arrampicata all'arrampicata sportiva, questi sono gli ottanta.
Poi chiaro che ogni luogo ha la sua microstoria, i suoi protagonisti più o meno noti allora come adesso, e i suoi tempi sfalsati rispetto agli altri
MauMau ha scritto:vorrei aggiungere una cosa sull'edonismo, da alcuni citato...
Credo che sia una cosa partita dalla Francia - perchè non credo che i sassisti si potessero definire edonisti - e noi del nord-ovest ne siamo stati investiti in pieno quasi subito. Oltre la pluricitata "Miranda in Solo", la famosa copertina di Vertical, che tutti prendemmo come uno scherzo, ma che ebbe nel nostro bigotto mondo un effetto dissacrante ... qualche tempo dopo fecero la loro comparsa i primi fotografi professionisti francesi. Ricordo Bernard Giani, Philippe Poulet e Philippe Royer. Soprattutto gli ultimi due ebbero l'intuizione di introdurre una sorta di glamour nell'arrampicata sportiva e così si cominciarono a vedere belle ragazze in abiti succinti e foto sfacciatamente in posa, cosa che prima non era in un certo senso considerata "etica". Soprattutto Royer andò oltre ingaggiando una serie di modelle e facedo loro le foto sulle ringhiere del Verdon, su Wide is love, sui sentieri. Noi eravamo scandalizzati ma il peggio doveva ancora venire perchè Royer, che ho anche conosciuto bene, prese la macchina e andò a Torino a proporre a Mantovani una serie di copertine quasi gratis. Le copertina furono presto pubblicate e tutti noi ci guardavamo perplessi, chi comprava la Rdm di quei tempi se ne ricorda. Di lì si diffuse la moda dei pantacollant e di un certo edonismo. Chi frequentava Finale si ricorda anche gli orecchini con la piuma ed altre cose ancora più estreme. Al nord-est credo che si diffuse limitatamente, e soprattutto per l'effetto dei pantacollant che fece La Sportiva e del calendario con le foto alla Spiaggia delle Lucertole, di Mariacher, Manolo, Bassi e Jovane. Tuttavia non credo che gli italiani fossero edonisti, almeno non quanto i francesi. Era semplicemente un fatto di moda che non definirei come voglia di andare controcorrente o differenziarsi dagli alpinisti duri e puri. Un altro status symbol del periodo era il pile patagonia. Tutti gli scalatori ce l'avevano, meglio se comprato nella strada principale di Cham. Mi ricordo che in un dato periodo ci si riconosceva ovunque, in città, perchè se avevi il pile eri uno di noi. Alla fine era un po' come la camicia a scacchi degli anni cinquanta-sessanta
ricordo su una vecchia rdm (dimensione sci, penso) delle foto di una gnokka che sciava fuoripista in topless inseguita da un energumeno nudo
Yes, batman.Batman ha scritto:
Gli anni ottanta cominciano con i "Cento nuovi mattini", manifesto di quanto era emerso di nuovo in modo più o meno sotterraneo nel decennio precedente, l'arrampicata che si era ormai affrancata dalla dimensione alpinistica ma che ancora alle sue origini alpinistiche era legata, e che non era ancora diventata "sportiva". Non c'è un solo spit, in tutte le vie dei cento nuovi mattini...
E finiscono con l'arrampicata sportiva ormai affermata, con le gare che già non si fanno più sulla roccia vera, l'attrezzatura a spit dall'alto, la comparsa di nuove figure del verticale che ormai spesso con l'alpinismo non hanno più nulla a che spartire.
Hanno questo di speciale, gli anni ottanta. Una transizione epocale (se si può usare questo termine per un fenomeno così marginale come l'arrampicata). Niente di paragonabile, che abbia coinvolto così massicciamente l'intero mondo del verticale, è avvenuto dopo. E dentro questa transizione si sono anche perse certe cose, ma sono succese un sacco di cose belle - e soprattutto irripetibili.
Credo che sia una valutazione obiettivamente sostenibile, che prescinde dalla circostanza che per ragioni anagrafiche sono stati per me degli anni importanti
Gli anni ottanta sono stati anni di merdina, se non di merda tout court, c'è poco da celebrare. Con essi finisce "il secolo breve", e tanti saluti ai residui sogni e illusioni non solo per il nostro fortunato e lussuoso emisfero nord, ma soprattutto per chi sta più sotto come latitudine che forse si aspettava un giro di boa.
Si rafforza la "cappa" fondamentalista della finanza e delle multinazionali dei cereali, New York e Chicago caput mundi.
Il resto è chiasso crescente, rumore, "eventi", marketing e marchette sempre più invasivi, realtà virtuale che si fa strada anche se internet è ancora ai primi vagiti. Una crescente masnada di senza mestiere raccatta qua e là le briciole lasciate da popoli inurbati e intrafficati ormai sempre più obesi nella pancia e nel cervello. Nella musica contano solo ritmo e ripetizione, la melodia e la ricchezza armonica vanno accuratamente evitate. Ci salva Arvo Part e pochi altri. Nel jazz, se non ci fosse ancora un Sonny Rollins e un Jim hall, anche se già vecchietti, o Gil Evans, già sordo come Beethoven, si potrebbe chiudere bottega.
Nell'arrampicata non so. Ma ho letto quella bella storia di Casarotto sul Bianco nell'82. Quindi qualche faro resta acceso nella notte.
Si rafforza la "cappa" fondamentalista della finanza e delle multinazionali dei cereali, New York e Chicago caput mundi.
Il resto è chiasso crescente, rumore, "eventi", marketing e marchette sempre più invasivi, realtà virtuale che si fa strada anche se internet è ancora ai primi vagiti. Una crescente masnada di senza mestiere raccatta qua e là le briciole lasciate da popoli inurbati e intrafficati ormai sempre più obesi nella pancia e nel cervello. Nella musica contano solo ritmo e ripetizione, la melodia e la ricchezza armonica vanno accuratamente evitate. Ci salva Arvo Part e pochi altri. Nel jazz, se non ci fosse ancora un Sonny Rollins e un Jim hall, anche se già vecchietti, o Gil Evans, già sordo come Beethoven, si potrebbe chiudere bottega.
Nell'arrampicata non so. Ma ho letto quella bella storia di Casarotto sul Bianco nell'82. Quindi qualche faro resta acceso nella notte.
Interessante lettura.MauMau ha scritto:...l'edonismo...
In effetti anche i celeberrimi film di Edlinger erano permeati di edonismo.
Non penso però che l'abbigliamento fosse solo moda e non anche desiderio di volersi distinguere .
Credo che sia un fenomeno "normale" e noto: i ggiovani di qualunque generazione (e qui non intendo solo nell'arrampicata) per distinguersi da quella precedente cominciano sempre dall'abbigliamento. E c'è allo stesso tempo voglia di distinguersi dagli altri e di fare "branco" (=divisa) con i propri simili.
Non mi stupisce.MauMau ha scritto:... Al nord-est credo che si diffuse limitatamente, e soprattutto per l'effetto dei pantacollant che fece La Sportiva e del calendario con le foto alla Spiaggia delle Lucertole, di Mariacher, Manolo, Bassi e Jovane.
...
E non credo che sia solo per la distanza geografica dalla Francia (anche Roma è lontana, ma lì attecchì).
Magari mi sbaglio, ma mi sembra che ancora oggi (non dappertutto e con le ovvie eccezioni) si tratti di un ambiente piuttosto inquadrato e tutto sommato tradizionalista.
claudio1949 ha scritto:...
Il resto è chiasso crescente, rumore, "eventi", marketing e marchette sempre più invasivi, realtà virtuale che si fa strada ...
Nella musica contano solo ritmo e ripetizione, la melodia e la ricchezza armonica vanno accuratamente evitate. ...
si vabbè
... si stava meglio quando si stava peggio e... 'vanti col coro che la procession se ingrùma...
funkazzista ha scritto:
Sulla stessa falsariga, che peccato che è sentire certi brani come sottofondo della pubblicità di una banca, oppure al supermercato...
E' vero che non c'è niente di sacro, ma certe opere meriterebbero di essere ascoltate "come si deve"
si! e chiudo qui assolutamente anch'io l'off topic! due ultime cose:
- non mi vergogno a dire che mi interessa il "sacro", nella musica (non nel senso della "musica sacra/ecclesiastica" ma ci siamo capiti nè...), e...nella montagna...
- Pria nominava Ares Tavolazzi, non so se si riferiva a quello che ha fatto negli anni '80 o come bassista degli Area (ma qui siamo anni 70 secchi! ;-) ) però, senza nulla togliere a Tavolazzi che è persona stupenda, mi viene in mente un musicista che io amo: Demetrio Stratos! Che forse è un buon esempio nel passaggio 70/80... Stratos abbandona gli Area nel 78, non volendo più far parte di un collettivo politico, preso in un vortice di violenza che non gli piaceva punto (l'anno scorso è stato interessante sentire di persona Paolo Tofani raccontare delle motivazioni per cui lui e Demetrio lasciarono il gruppo...).
Iniziò un suo velocissimo processo di ricerca musicale individuale che lo portò ad affrontare nuove magnifiche allucinanti vie. Purtroppo la malattia alle sue straordinarie corde vocali non gli farà raggiungere gli anni '80, ma forse... è lui proprio emblematico di un passaggio generazionale...Ad ogni modo mi commuovo quando rivedo (ed ogni tanto lo faccio) i documentari della Radio Televisione Italiana (!) su di lui, che spiega con semplicità ai bambini delle scuole elementari concetti musicali... estremi :-) Si... negli anni 80 la RAI faceva "ancora" dei documentari che dire belli è poco!
bon, mi eclisso :-)
giorgio
Batman ha scritto:
Gli anni ottanta cominciano con i "Cento nuovi mattini",
E Rock Story??!!
LucaVi ha scritto:Scivolò dal panorama al garage per una piccola svista
di Andrea Gobetti
Correva l’anno 1985, avevo l’età di Cristo in croce e ne imitavo l’agonia su appigli più alti di me. Arrampicare era diventato faticoso e farlo da galletto del pollaio a me risultava impossibile. Bisognava allenarsi, piegare il ginocchio anche lì al trono del verbo dovere.
Tutt’attorno la gente di pianura si pentiva e strapentiva degli anni ’70, maledicendosi per aver sacrificato all’essere e non all’avere un bel pezzo di gioventù. Presto si sarebbero rifatti, avrebbero recuperato il tempo perduto e sarebbero assomigliati quasi perfettamente a quella razza di stupidi vecchi, vigliacchi e prepotenti, che tanto prima avevano odiato.
(...)
Eppure questa strada che già i latini lodavano, “mens sana in corpore sano”, col tempo uscirà di nuovo dalle scarpe dei climbers, forse quando l’istinto di conservazione, ultima speranza della razza umana, gli ricorderà che la vera forza dell’uomo è sì nel cervello, ma il corpo non è il suo schiavo e potrebbe anche diventargli amico. Se solo non lo trattasse come una bestia in gabbia…
mah Luca, ti ringrazio per averlo postato. Io so un po' come sono andate le cose, per averne fatto parte. Ma sarebbe veramente interessante che gente come Camanni dicesse un giorno la sua su questo argomento, perchè la nascita di Alp fece molto. Di certo una grossa responsabilità sull'affondamento di Roc la ebbe Vivalda e tutto il gruppo che le stava dietro. Sostenere questi ideali era diventato allora veramente difficile, ricordo che soffiava forte il vento della competizione, del grado, i limiti, l'allenamento, non si parlava d'altro. Il corpo era veramente martoriato "come una bestia in gabbia". Oggi c'è una parziale retromarcia, ma in pochi hanno la memoria storica per ricordare chi diceva cosa a quei tempi. Di certo ci vorrebbe un'antologia degli scritti di Roc, perchè sono veramente una delle cose più interessanti che ci resta di quegli anni. Non so nemmeno di chi siano i diritti oggi, non mi stupirebbe che siano passati a Vivalda
funkazzista ha scritto:Non mi stupisce.MauMau ha scritto:... Al nord-est credo che si diffuse limitatamente, e soprattutto per l'effetto dei pantacollant che fece La Sportiva e del calendario con le foto alla Spiaggia delle Lucertole, di Mariacher, Manolo, Bassi e Jovane.
...
E non credo che sia solo per la distanza geografica dalla Francia (anche Roma è lontana, ma lì attecchì).
Magari mi sbaglio, ma mi sembra che ancora oggi (non dappertutto e con le ovvie eccezioni) si tratti di un ambiente piuttosto inquadrato e tutto sommato tradizionalista.
e quindi?
MauMau ha scritto:
.......
mah Luca, ti ringrazio per averlo postato. Io so un po' come sono andate le cose, per averne fatto parte. Ma sarebbe veramente interessante che gente come Camanni dicesse un giorno la sua su questo argomento, perchè la nascita di Alp fece molto. Di certo una grossa responsabilità sull'affondamento di Roc la ebbe Vivalda e tutto il gruppo che le stava dietro. Sostenere questi ideali era diventato allora veramente difficile, ricordo che soffiava forte il vento della competizione, del grado, i limiti, l'allenamento, non si parlava d'altro. Il corpo era veramente martoriato "come una bestia in gabbia". Oggi c'è una parziale retromarcia, ma in pochi hanno la memoria storica per ricordare chi diceva cosa a quei tempi. Di certo ci vorrebbe un'antologia degli scritti di Roc, perchè sono veramente una delle cose più interessanti che ci resta di quegli anni. Non so nemmeno di chi siano i diritti oggi, non mi stupirebbe che siano passati a Vivalda
Beh, in un certo senso "L'uomo che scala" pubblicato da LucaVi è proprio questo, una riedizione commentata dallo stesso Gobetti di alcuni pezzi "storici" di Roc. E per me (e stavolta la cosa ha davvero una valenza tutta personale) gli anni ottanta sono stati anche quello, le visite mensili a Torino per collaborare alla Rivista e in particolare all'avventura di Roc, sotto la guida di quel pazzo geniale di Andrea, e con tanta altra gente speciale, tra cui vorrei ricordare la lucida testa di Giovanni Cenacchi.
Roc è stato anche, come ricorda Maurizio, il luogo dove si sono scontrate le due anime dell'arrampicata della metà degli anni ottanta, quella libertaria che veniva dai "nuovi mattini" del decennio precedente e quella delle regole e delle competizioni organizzate che stava prendendo il sopravvento e cancellando la prima, di cui pure in un certo modo era figlia. Roc era chiaramente schierata da una parte, chi lo leggeva all'epoca sa bene quale, e chi leggesse oggi il libro di Gobetti non farebbe fatica a scoprirlo...
Come dicevo io sarebbe interessante anche sentire la controparte. Io ricordo bene gli anni della nascita di Alp e da che parte stava. E poi Punto Rosso. Era come combattere contro i mulini a vento, e quando hai una rivista patinata come Alp che propaganda una certa visione dell'arrampicata in netto contrasto con quella romantica, è dura...
Sai Batman cosa mi è capitato tra le mani? Una tua lettera che mi avevi scritto quando ho avuto quel brutto incidente e lottavo tra la vita e la morte Ma alla fine quando ci siamo conosciuti di persona? Non lo ricordo più
Sai Batman cosa mi è capitato tra le mani? Una tua lettera che mi avevi scritto quando ho avuto quel brutto incidente e lottavo tra la vita e la morte Ma alla fine quando ci siamo conosciuti di persona? Non lo ricordo più
ti ricordi la morte del chiodo?
mi pare che la verve, quasi da guerra santa che spingeva l'autore sia stata emblematica.
(per quanto ricordo) oltre all'analisi storica, in parte opinabile, c'era continuamente questo ripetere che oramai certo spirito "cavalleresco" alla preuss aveva fatto il suo tempo ed era ora di valutare l'alpinismo solo in termini quantificabili.
io lo ritengo ancora un libro che avevo letto con piacere
ma non ne condividevo, nè ne condivido un cazzo di un cazzo di quello spirito (pseudo?) innovativo.
ma, ripeto, secondo la nota legge di buzz, io sono un morto che cammina
mi pare che la verve, quasi da guerra santa che spingeva l'autore sia stata emblematica.
(per quanto ricordo) oltre all'analisi storica, in parte opinabile, c'era continuamente questo ripetere che oramai certo spirito "cavalleresco" alla preuss aveva fatto il suo tempo ed era ora di valutare l'alpinismo solo in termini quantificabili.
io lo ritengo ancora un libro che avevo letto con piacere
ma non ne condividevo, nè ne condivido un cazzo di un cazzo di quello spirito (pseudo?) innovativo.
ma, ripeto, secondo la nota legge di buzz, io sono un morto che cammina
MauMau ha scritto:
Io ricordo bene gli anni della nascita di Alp e da che parte stava. E poi Punto Rosso. Era come combattere contro i mulini a vento, e quando hai una rivista patinata come Alp che propaganda una certa visione dell'arrampicata in netto contrasto con quella romantica, è dura...
io all'epoca leggevo tutte le riviste. nel senso che leggevo praticamente ogni pagina. facevo fatica però a sentirmi rappresentato. c'era una visione geograficamente monoculturale che seppur nella diversità detta a maurizio trovava molto poca rispondenza nella realtà nostra. in effetti non c'è mai stata neache dopo una rivista che guardasse il mondo dall'est alpi e dintorni.
OT ... lo scrivo qua, ma sarebbe valido per tanti altri topici... ora come in passato.
ehm... riallacciandomi a quanto chiesto da altri e dal sottoscritto in passato, credo sarebbe cosa cortese e che richiederebbe una perdita di pochi secondi, il citare solo (=SOLO) la parte significativa di un altrui commento.
ne guadagnerebbe assai lo scorrimento delle ppgg, il loro n° diminuirebbe, si focalizzerebbe meglio l'attenzione sui punti salienti del succitato commento....
PORCATROIA! maumau... ma per dire bravo al lucavi di aver trascritto ecc..., devi proprio riportare una colonna di decine di righe?????
ECCHECCAZZO!
ehm... riallacciandomi a quanto chiesto da altri e dal sottoscritto in passato, credo sarebbe cosa cortese e che richiederebbe una perdita di pochi secondi, il citare solo (=SOLO) la parte significativa di un altrui commento.
ne guadagnerebbe assai lo scorrimento delle ppgg, il loro n° diminuirebbe, si focalizzerebbe meglio l'attenzione sui punti salienti del succitato commento....
PORCATROIA! maumau... ma per dire bravo al lucavi di aver trascritto ecc..., devi proprio riportare una colonna di decine di righe?????
ECCHECCAZZO!
espo ha scritto:MauMau ha scritto:
Io ricordo bene gli anni della nascita di Alp e da che parte stava. E poi Punto Rosso. Era come combattere contro i mulini a vento, e quando hai una rivista patinata come Alp che propaganda una certa visione dell'arrampicata in netto contrasto con quella romantica, è dura...
io all'epoca leggevo tutte le riviste. nel senso che leggevo praticamente ogni pagina. facevo fatica però a sentirmi rappresentato. c'era una visione geograficamente monoculturale che seppur nella diversità detta a maurizio trovava molto poca rispondenza nella realtà nostra. in effetti non c'è mai stata neache dopo una rivista che guardasse il mondo dall'est alpi e dintorni.
vero, difficilmente contestabile
Drugo Lebowsky ha scritto:ti ricordi la morte del chiodo?
mi pare che la verve, quasi da guerra santa che spingeva l'autore sia stata emblematica.
(per quanto ricordo) oltre all'analisi storica, in parte opinabile, c'era continuamente questo ripetere che oramai certo spirito "cavalleresco" alla preuss aveva fatto il suo tempo ed era ora di valutare l'alpinismo solo in termini quantificabili.
io lo ritengo ancora un libro che avevo letto con piacere
ma non ne condividevo, nè ne condivido un cazzo di un cazzo di quello spirito (pseudo?) innovativo.
ma, ripeto, secondo la nota legge di buzz, io sono un morto che cammina
idem con patate. Lo avevo letto con piacere ma non condividevo nulla. Ma sono uno dei si stava meglio quando si stava peggio
Drugo Lebowsky ha scritto:
PORCATROIA! maumau...
così va bene? Ho citato la parte saliente del tuo discorso
MauMau ha scritto:si il libro lo conosco, ma come dicevo io sarebbe interessante anche sentire la controparte. Io ricordo bene gli anni della nascita di Alp e da che parte stava. E poi Punto Rosso. Era come combattere contro i mulini a vento, e quando hai una rivista patinata come Alp che propaganda una certa visione dell'arrampicata in netto contrasto con quella romantica, è dura...
Sai Batman cosa mi è capitato tra le mani? Una tua lettera che mi avevi scritto quando ho avuto quel brutto incidente e lottavo tra la vita e la morte Ma alla fine quando ci siamo conosciuti di persona? Non lo ricordo più
Sì, la lettera me la ricordo. Ma allora ancora non ci eravamo mai incontrati di persona. E' stato abbastanza più tardi, ma nemmeno io mi ricordo esattamente quando.
@drugo. Ah, le discussioni con il buon Cassarà... saltato direttamente dal rifiuto della "lotta con l'alpe" all'esaltazione della competizione organizzata, perché comunque in qualche modo bisognava fare la classifica dei "migliori". Non stupisce che non abbia capito molto di tutto ciò che c'è stato in mezzo, ma è davvero sgradevole che abbia detto le cose che ha detto su Motti in Cannabis Rock.
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